16/10/2017

Le vene varicose

Sono almeno sette milioni gli italiani che soffrono di vene varicose. Il sesso più a rischio è quello femminile. Tuttavia, nemmeno gli uomini ne sono immuni.

Le vene varicose, dette anche varici, sono dilatazioni permanenti delle vene del circolo superficiale. Sebbene teoricamente possano comparire in qualsiasi parte del corpo, nella maggior parte dei casi si manifestano a livello degli arti inferiori, con maggiore frequenza nelle due vene safene (le due principali vene superficiali delle gambe).

Spesso, le persone si rivolgono al medico per una questione puramente estetica. Invece, le varici non sono solo brutte da vedere, ma anche pericolose, anche quando sono poco evidenti.

Tuttavia, anche nell’eventualità in cui la vena appaia appena visibile e non dia particolari problemi, è importante rivolgersi al medico per un controllo. Infatti, le varici sono indice di una sofferenza a livello del sistema venoso che deve essere indagata a fondo.

Da che cosa dipendono

In un certo senso, le vene varicose rappresentano una naturale evoluzione della ritenzione idrica e dei gonfiori. Infatti, gli stessi meccanismi che favoriscono l’accumulo di liquidi, se non si interviene, alla lunga possono portare allo sfiancamento delle vene.

Nella maggior parte dei casi, alla base c’è un tono venoso insufficiente: se in condizioni normali le pareti delle vene sono in grado di comprimersi, spingendo il sangue verso l’altro, in caso di malattia si indeboliscono e non riescono più a trasportare in modo sufficiente i liquidi.

In associazione a ciò subentra quasi sempre un’incontinenza delle valvole a nido di rondine che impediscono al sangue diretto verso il cuore di refluire verso il basso.

Il risultato è che il sangue ristagna nelle vene, esercitando una compressione sulle pareti e una pressione interna che le dilata ulteriormente e che determina edema.

I fattori di rischio

Alla base di questo processo possono esserci tante cause diverse. Sicuramente c’è una predisposizione genetica di base, che rende le pareti meno elastiche e le valvole meno continenti. Perché la costituzione genetica si trasformi in malattia, però, devono sopraggiungere uno o più fattori di rischio. Ecco quali:

– l’età: con il passare degli anni, le pareti delle vene tendono a indurirsi e le valvole a indebolirsi;

– il sovrappeso, che ostacola la circolazione e il ritorno del sangue al cuore e aumenta la pressione del sangue all’interno dei vasi;

– le malattie respiratorie, poiché la respirazione ha un’azione “aspirante”, cioè richiama il sangue verso l’alto. Se ci sono difficoltà respiratorie, gli atti del respiro diventano brevi e superficiali e il sangue può non ricevere la spinta sufficiente per risalire: si corre così il rischio di stasi venosa;

– i traumi fisici che interessano gli arti inferiori, che possono creare danni ai vasi sanguigni sottostanti;

– l’uso della pillola contraccettiva, dato che gli estrogeni contenuti in essa possono indebolire le pareti delle vene;

– la stitichezza, poiché causa un’elevata pressione a livello del bacino, che danneggia il circolo venoso delle gambe;

– la sedentarietà, che rallenta la circolazione e diminuisce l’azione positiva esercitata dai muscoli del polpaccio e dalla pelle sul ritorno del sangue verso il cuore;

– il fumo, poiché danneggia le pareti dei vasi e facilita la formazione di coaguli di sangue;

– i jeans o altri indumenti molto stretti e tacchi alti, capi che ostacolano il normale scorrimento e il deflusso di sangue a livello degli arti inferiori;

– il mantenimento della posizione eretta per lunghi periodi, che determina una stasi del sangue all’interno dei vasi venosi, che indebolisce le loro pareti;

– la vicinanza estrema a fonti dirette di calore, come termosifoni, stufe, termocoperte e i bagni di sole. Le alte temperature, infatti, determinano una rapida dilatazione dei vasi, che favorisce il loro ulteriore sfiancamento;

– la gravidanza per tre motivi: – l’aumento del livello degli estrogeni, molto accentuato nei primi tre mesi di gestazione. Questi ormoni, infatti, peggiorano la ritenzione di liquidi e favoriscono la formazione di cuscinetti che premono contro le pareti delle vene e rendono più difficoltoso lo scorrimento del sangue; – l’aumento dei livelli di progesterone, una sostanza che comporta un rilassamento delle pareti delle vane e delle valvole venose; – l’utero ingrossato, che esercita un’azione meccanica, determinando stasi venosa.

Come si manifestano

In genere, le varici si distinguono dalle altre vene perché assumono una colorazione marcatamente blu oppure viola scuro e possono diventare sporgenti e ben visibili. Inoltre, appaiono molto più dilatate del normale, hanno un percorso tortuoso e presentano dei nodi.

Le manifestazioni però non riguardano solo l’aspetto estetico. Compaiono anche tutta una serie di sintomi più o meno intensi, quali senso di pesantezza, indolenzimento e/o fastidio, bruciore, gonfiore, rossore, sensazione di caldo, crampi notturni, formicolii, prurito locale.

Molto comune è anche il dolore, che peggiora dopo essere stati seduti o in piedi per molto tempo e migliora camminando.

Le cure

Le varici non vanno mai trascurate. Se sono di grado lieve o moderato e la persona non è a rischio di complicanze possono essere sufficienti delle semplici correzioni dello stile di vita.

Oltre ad adottare le buone abitudini indicate anche per la prevenzione, può essere utile indossare le calze elastiche a compressione graduata che, come dice il nome stesso, favoriscono la compressione delle vene e la dunque la risalita del sangue verso l’alto. Inoltre, esercitano dall’esterno una pressione che impedisce alla vena di dilatarsi e alle valvole di deformarsi e perdere efficienza. Andrebbero indossate tutti i giorni o comunque il più a lungo possibile, anche per periodi prolungati. Un tipo non vale l’altro: le calze vanno prescritte e scelte dal medico in relazione al singolo paziente.

Se nonostante questi accorgimenti la situazione non migliora, potrebbero essere indicate cure specifiche. Vediamo le più utilizzate.

– La scleroterapia

Se la dilatazione interessa un tratto circoscritto di un vaso, si può optare per la scleroterapia, una tecnica poco invasiva che viene effettuata ambulatorialmente.

L’esecuzione è molto semplice: il medico inietta nella vena interessata un liquido a base di varie sostanze (come l’alcool polidocanolico, la glicerina cromata, il sodio salicilato) in grado di irritare, infiammare e danneggiare le cellule della zona.

Di conseguenza, nel giro di poco tempo, le pareti interne si avvicinano tra loro e si saldano. Il risultato è che la circolazione viene bloccata e la vena si cicatrizza, diventando invisibile.

Possono essere necessarie anche più sedute.

– Lo stripping

Quando le varici sono più voluminose, causano sintomi accentuati e/o si associano a un rischio di complicanze, in genere, si procede sempre con la loro asportazione o eliminazione.

Oggi si hanno a disposizione varie metodologie. Le più usate sono tre: la tecnica classica, la coagulazione con il laser endovascolare (detto EVLT dall’inglese Endo Venous Laser Treatment) e l’occlusione venosa con radiofrequenza. La scelta spetta esclusivamente al medico.

L’intervento tradizionale è lo stripping safenico o safenectomia, che consiste nell’estrazione della grande o della piccola vena safena. In realtà esistono due tipi di stripping: quello corto, meno traumatico, e quello completo, che richiede il ricovero ospedaliero di una notte. Il più diffuso è il primo, che consiste nell’exeresi del tratto di vena safena compreso fra inguine e ginocchio: lo specialista esegue due piccole incisioni, una all’altezza dell’inguine e una del ginocchio. Quindi, isola e lega la vena e, attraverso una sonda, la sfila verso il basso e la estrae dall’incisione a livello del ginocchio.

Nello stripping completo viene sfilata tutta la vena safena, attraverso un’incisione eseguita a livello della caviglia.

– Il trattamento laser

Il laser prevede l’occlusione della safena. In pratica, sotto controllo ecocolordoppler, si inserisce nella vena un ago cannula e un catetere attraverso cui viene fatta passare la fibra laser. Quando la fibra laser arriva al punto desiderato, il medico dà un impulso laser per tre-quattro secondi e poi fa compiere alla fibra il percorso a ritroso. Attraverso il calore liberato dal laser, la vena dilatata si chiude. Sarà poi progressivamente riassorbita sino a scomparire. I tessuti circostanti non subiscono alcun danno.

– La radiofrequenza

Si basa sull’impiego di radiofrequenze che sviluppano un calore controllato. L’intervento si esegue in day hospital.

Lo specialista inserisce, grazie a un particolare ago, un catetere nella vena grande safena, all’altezza della caviglia. Risale, poi, lungo il vaso fino all’inguine e irradia le onde radio. Il calore emesso provoca il restringimento e la successiva chiusura della vena. A questo punto ritira molto lentamente il catetere: provoca così lo stesso effetto in tutto il vaso. In questo modo si stimola la chiusura spontanea della grande safena, spesso responsabile della comparsa di varici.

Se le varici sono molto estese può essere necessario fare una piccola incisione a livello inguinale per effettuare la legatura della grande safena. Al termine della procedura si procede al bendaggio dell’arto.

– La flebectomia

La flebectomia può essere utilizzata per le piccole vene varicose che non interessano la piccola o grande safena.

Il trattamento consiste nell’esecuzione di micro-incisioni in prossimità della varice da rimuovere: attraverso di esse, si inseriscono particolari strumenti operatori (chiamati uncini), con i quali il vaso viene agganciato e successivamente sfilato.

Si può ricorrere anche alla flebectomia aspirativa per transilluminazione. Si pratica una piccola incisione (di pochi millimetri) e si introduce, al di sotto delle vene da operare, una sonda dotata di una luce particolare che le rende trasparenti e visibili sulla pelle. Da un’altra fessura si introduce un apparecchio che sminuzza e aspira le vene interessate.

Le regole di prevenzione

Le regole di prevenzione solo le stesse consigliate per la ritenzione idrica e i gonfiori. Infatti, i meccanismi scatenanti e i fattori di rischio sono simili per entrambe le malattie.