16/10/2017

Le aritmie

Il cuore svolge una funzione di pompa, necessaria per far giungere il sangue, e con esso l’ossigeno e il nutrimento, a tutte le cellule dell’organismo.
Per poter svolgere questo compito vitale, si contrare ritmicamente a una frequenza variabile da persona a persona: mediamente 60-80 volte al minuto.
Le alterazioni di questa frequenza vengono definite aritmie.

Lo stimolo elettrico del battito

L’attività contrattile del cuore è generata dal nodo del seno, una sorta di centralina elettrica che si trova nell’atrio destro. Questa genera uno stimolo elettrico che viene trasmesso dagli atri ai ventricoli, attraverso il nodo atrio-ventricolare.
Quando l’impulso elettrico arriva ai ventricoli, si attiva la contrazione del cuore, quindi si estingue e ricomincia un altro battito cardiaco.
Lo stimolo s’intensifica quando la richiesta di sangue e ossigeno da parte del cuore è maggiore (per esempio quando si fa sport o si è emozionati) e diminuisce quando il muscolo cardiaco ne ha un bisogno inferiore (in situazioni di riposo).

Se il sistema contrattile si altera

Le aritmie si verificano quando il sistema contrattile è alterato. Quando lo stimolo elettrico viene prodotto da centraline diverse dal nodo del seno, si verifica un’aritmia chiamata extrasistole. I battiti sono fuori tempo o danno la sensazione che il cuore “perda colpi”.
Quando lo stimolo elettrico non si spegne dopo la pulsazione, si verificano le tachicardie o aritmie ipercinetiche.
I battiti cardiaci sono accelerati o irregolari (tachiaritmie). In questi casi possono comparire senso di oppressione toracica, difficoltà di respiro, sudorazione, spossatezza.
Quando, invece, lo stimolo fatica a partire o a essere trasmesso, compaiono le aritmie da battito cardiaco rallentato o aritmie ipocinetiche.
Ecco, in pratica, i tipi di aritmie più comuni:
– le tachicardie, quando i battiti cardiaci sono accelerati;
– le tachiaritmie, quando le pulsazioni oltre a essere accelerate sono irregolari;
– le bradicardie, quando i battiti cardiaci sono rallentati;
– le bradiaritmie: quando le pulsazioni rallentate e irregolari.

Meglio approfondire

Non è detto che avvertire un’aritmia sia necessariamente una condizione di cui preoccuparsi. Infatti le extrasistoli spesso compaiono in persone sane, quando c’è febbre, stress o nervosismo.
Se però si avverte un’aritmia (può succedere per esempio sentendosi il polso oppure durante una visita dal medico), è bene approfondire perché potrebbe essere legata a un problema al cuore o a un altro organo: a volte la tachicardia è sintomo di un’attività eccessiva della tiroide, ghiandola situata alla base del collo che produce importanti ormoni.
Le aritmie vanno in ogni caso approfondite quando compaiono altri sintomi di malessere, per esempio vertigini, annebbiamenti visivi, svenimenti.

Come si scoprono

In una persona con disturbi che fanno sospettare un’aritmia il primo esame da fare è l’elettrocardiogramma.
Se questo non basta si effettua un Ecg dinamico nelle 24 ore (Holter), applicando un apparecchio che va portato appunto per un giorno intero per registrare il ritmo cardiaco durante le varie attività svolte durante la giornata e la notte.
Può essere necessario effettuare altri esami come l’Ecg sotto sforzo, che controlla il ritmo cardiaco durante un impegno fisico su cyclette.
Vi sono poi test di provocazione che consistono nel somministrare farmaci che modificano l’attività del cuore e quindi permettono di verificare l’esistenza dell’aritmia.
Esiste, infine, lo studio endocavitario (o studio elettrofisiologico): è un ulteriore esame che richiede un’anestesia locale a livello dell’inguine attraverso il quale vengono introdotte in un vaso sanguigno piccole sonde che, posizionate all’interno del cuore, verificano la regolarità o meno dell’attività elettrica.

Le cure

Se le aritmie non danno problemi e non sono associate a malattie spesso non è necessaria alcuna cura. Se invece è presente una malattia di cuore o sistemica, prima si cura la malattia che causa la aritmia stessa.
Le aritmie possono essere dovute a ipertensione arteriosa, cardiomiopatie, problemi della tiroide o dell’apparato digerente (come un reflusso) e curare la malattia sottostante in modo adeguato spesso fa sparire anche la aritmia. In altri casi è necessario intervenire direttamente. Una volta impostata la cura per i vari tipi di aritmia, la persona deve sottoporsi a controlli regolari per verificare che tutto proceda bene e per scongiurare il rischio di effetti collaterali. Può quindi essere necessario effettuare altri elettrocardiogrammi dinamici nelle 24 ore. Ecco le soluzioni più utilizzate.
Nel caso delle extrasistoli, se causano fastidio può essere prescritta una cura a base di sedativi blandi, ma solo se il fastidio è insopportabile per la persona, perché anche questi farmaci possono avere effetti collaterali.
I farmaci antiaritmici
Per ridurre l’eccitabilità delle cellule che costituiscono il tessuto del cuore, si utilizzano i farmaci antiaritmici, che sono molti e agiscono con diversi meccanismi.
Tra le categorie di antiaritmici più in uso ci sono, per esempio, i betabloccanti (che funzionano inibendo i recettori beta-adrenergici delle cellule e riducendo la frequenza cardiaca e la pressione arteriosa) e i calcioantagonisti (che bloccano l’afflusso di calcio in determinate cellule, soprattutto del nodo atrio-ventricolare).
Gli antiaritmici però hanno diversi effetti collaterali, tra cui il rischio di interferire con la funzione contrattile del muscolo cardiaco limitando la forza delle contrazioni. Di conseguenza vanno assunti sotto stretto controllo medico, senza alterare la dose, seguendo attentamente la cura e facendo presente al medico eventuali fastidi.
Anche le tachicardie sopraventricolari possono essere curate con i farmaci antiaritmici. In alternativa, si può utilizzare una metodica che prevede l’invio di energia elettrica per regolarizzare le pulsazioni mediante speciali cateteri posizionati a contatto con il cuore.
Le tachicardie ventricolari, invece, si curano trattando la malattia che le causa e somministrando farmaci antiaritmici adatti.

Il pace maker

Si tratta di un piccolo dispositivo che manda impulsi elettrici al cuore in modo da regolare il battito, utile quindi per curare le bradicardie patologiche (non è però il caso degli atleti che sviluppano una bradicardia benigna dovuta all’allenamento intenso).
Un battito del cuore troppo lento può essere infatti conseguenza dell’infarto cardiaco, oppure può essere provocato da una malattia delle coronarie, le arterie che irrorano il cuore stesso.
Anche il cattivo funzionamento delle valvole mitralica e aortica, che regolano la fuoriuscita del sangue dal cuore, può rallentare il battito cardiaco e richiedere l’applicazione di un pace maker.

Come si applica

Il pace maker viene inserito in anestesia locale. Il cardiologo pratica un’incisione nella cute del paziente all’altezza della clavicola, nella parte alta del torace, vicino alla spalla, solitamente a sinistra. Si crea in questo modo una sorta di “tasca” naturale in cui viene sistemata la batteria.

Questa viene poi collegata al cuore con un filo metallico, che conduce l’impulso elettrico necessario per stimolare la contrazione e il battito.

Si tratta di un’operazione relativamente breve (la durata è di circa un’ora) che oggi non comporta praticamente rischi.
Terminato l’intervento, è necessario stare a riposo per circa due settimane, per verificare che la batteria funzioni a dovere e per consentire la cicatrizzazione della ferita. È quindi possibile riprendere le normali attività.