26/10/2017

Il diabete di tipo 2

La forma più comune in assoluto di diabete è il diabete di tipo 2, spesso associato a sovrappeso o obesità. Esistono poi altre forme meno note (tipo il diabete dei pazienti che prendono cortisone o di chi ha subito un intervento chirurgico al pancreas o ha avuto una pancreatite) e altre particolari, come il diabete che compare in gravidanza.

Di che cosa si tratta

Il diabete di tipo 2 è la forma più diffusa di diabete e interessa circa il 90% delle persone diabetiche.

I più a rischio sono i soggetti in sovrappeso o obesi.

In linea di massima questa forma di diabete interessa soprattutto le persone di una certa età, cioè superiore ai 40-50, ma negli ultimi due decenni sta diventando frequente anche nelle fasce di età più giovani della popolazione, perfino fra gli adolescenti e i bambini. In questo caso l’elemento che fa aumentare la glicemia non è la mancanza di insulina o i danni alle cellule che la producono, ma l’incapacità dei tessuti di recepire nel modo corretto il segnale dato dall’ormone.

In termini medici si parla di insulino-resistenza: il pancreas continua a produrre insulina, ma l’ormone, seppure perfettamente funzionante e all’inizio della malattia prodotto in grandi quantità (anche più di quanto necessario per un organismo sano), non riesce a svolgere la sua azione a livello dei tessuti bersaglio, come fegato e muscoli.

A lungo andare questa continua stimolazione del pancreas porta a un esaurimento delle cellule beta, con calo della secrezione insulinica.

Quindi, si crea un doppio difetto: la secrezione di insulina si riduce e la sua attività cala a causa della resistenza dei tessuti bersaglio. Di conseguenza, gli zuccheri non entrano nelle cellule, non vengono metabolizzati e la glicemia nel sangue aumenta fino a raggiungere la soglia per la diagnosi di diabete.

Il ruolo dei geni

Anche nel caso del diabete di tipo 2, le basi della malattia sono genetiche. Lo dimostrano anche i numeri: circa il 40% dei diabetici di tipo 2, infatti, ha parenti di primo grado (genitori, fratelli) affetti dalla stessa malattia, anche se è vero che le famiglie condividono l’esposizione a molti fattori ambientali. E, infatti, oltre a una familiarità genetica, esiste spesso anche una familiarità per cattive abitudini di vita che possono favorire la comparsa di diabete.

Tuttavia, non c’è ancora molta chiarezza riguardo ai geni coinvolti perché il diabete di tipo 2 è verosimilmente una malattia poligenica, ossia in cui sono implicati diversi geni in varia combinazione. Non ci sono molti dubbi, invece, per quanto concerne i fattori scatenanti.

I fattori di rischio

In primo luogo, bisogna considerare l’età: il rischio di sviluppare il diabete di tipo 2, infatti, aumenta progressivamente con il passare degli anni. Non è un caso che oltre il 62 % dei diabetici italiani abbia un’età superiore ai 65 anni.

Ci sono poi altri elementi che possono giocare un ruolo molto importante. È ormai certo, per esempio, che la presenza di ipertensione e colesterolo alto può aumentare il rischio di diabete di tipo 2 e delle sue complicanze.

Anche le abitudini di vita scorrette, come la mancanza di attività fisica, il sovrappeso e l’obesità, una dieta squilibrata e ricca di grassi e zuccheri possono favorire la comparsa di questa forma di diabete. Ecco perché la prevenzione assume un’importanza fondamentale. Non a caso il paziente affetto da questo tipo di diabete spesso riesce a controllare la malattia con la dieta e l’esercizio fisico, oltre che, eventualmente, con l’uso di farmaci.

Altri fattori di rischio cardiovascolari correlati a pessime abitudini di vita possono influenzare la comparsa di diabete come il fumo di sigaretta e gli elevati livelli di acido urico nel sangue.

Sintomi poco evidenti

I sintomi del diabete di tipo 2 sono più sfumati rispetto a quelli del diabete di tipo 1, soprattutto nelle fasi iniziali. Ecco perché le persone con questa forma di diabete possono avere la glicemia alta per molti mesi o anni prima che venga fatta la diagnosi. Quando il diabete viene diagnosticato in ritardo, le complicanze possono essere già presenti proprio perché la glicemia ha potuto fare danni indisturbata in quanto non riconosciuta.

Quando si manifesta, la glicemia alta lo fa principalmente con: stanchezza, frequente bisogno di urinare anche nelle ore notturne, perdita di peso improvvisa e immotivata, sete inusuale, forte appetito, guarigione lenta delle ferite, formicolio ai piedi, infezioni alle vie urinarie, candida dei genitali esterni maschili o femminili, prurito, sbalzi d’umore.

Serve correggere lo stile di vita

Nel momento in cui le analisi confermano la diagnosi di diabete di tipo 2, il medico di medicina generale dovrebbe suggerire alcune modificazioni dello stile di vita, in particolare dell’alimentazione e dell’attività fisica (vedi capitolo 10 a pag. 59). Purtroppo questo aspetto della cura del diabete è molto spesso trascurato sia dai pazienti sia dagli stessi medici.

Se la glicemia è molto alta, il medico può prescrivere anche dei farmaci, che potranno essere sospesi se e quando le modificazioni dello stile di vita inizieranno a fare effetto.

Il medico di medicina generale può anche inviare il paziente a un centro di diabetologia dove potrà ricevere un supporto educazionale e dietistico.

L’invio a un Pronto soccorso è limitato a selezionati casi in cui, oltre ad avere la glicemia alta, il soggetto sia molto disidratato, con una possibile infezione in atto (infezione delle vie urinarie, ascesso, polmonite o altro).

I farmaci per bocca

Se la dieta e l’esercizio fisico non sono sufficienti a riportare la glicemia a valori accettabili, il medico di medicina generale o il diabetologo possono prescrivere farmaci orali per il diabete.

Oggi si dispone di una rosa molto più ampia di farmaci rispetto al passato. Ecco i principali.

– Insulino-sensibilizzanti

Gli insulino-sensibilizzanti, come metformina e glitazoni, pur avendo meccanismi d’azione diversi, aumentano entrambi la sensibilità dei tessuti bersaglio (fegato e muscolo) all’insulina.

L’aumentata sensibilità all’insulina si traduce nel fegato in una riduzione della produzione epatica di glucosio, mentre nel muscolo in un aumentato trasporto di glucosio all’interno delle cellule: questi due meccanismi combinati portano a una riduzione dei livelli di glucosio nel sangue.

Il farmaco di prima scelta per la cura del diabete di tipo 2 è la metformina: è efficace, ben tollerato, non costoso, ha un effetto benefico anche sul rischio di sviluppare malattie cardiovascolari (comuni nei diabetici) e alcune forme di cancro, e, cosa non da poco, è sicuro (viene utilizzato da oltre 50 anni in tutto il mondo). L’unico frequente effetto collaterale sono le feci molli o la diarrea, che possono essere frequenti all’inizio della terapia, ma che spesso si risolvono in pochi giorni.

– Sulfaniluree

Sono una famiglia di farmaci (glibenclamide, gliclazide, glimepiride) che stimolano la produzione dell’insulina da parte delle cellule ß del pancreas. Nel breve termine sono farmaci efficaci nel ridurre la glicemia, ma purtroppo accelerano l’esaurimento delle beta cellule e la necessità di ricorrere alla terapia insulinica. Inoltre, l’uso delle sulfaniluree può provocare ipoglicemie e una tendenza all’incremento di peso.

– Acarbosio

È un inibitore dell’alfa-glucosidasi, un enzima deputato alla digestione degli zuccheri complessi nell’intestino. Bloccando questo enzima, riduce la liberazione di glucosio dai carboidrati complessi e quindi l’assorbimento dello stesso, tenendo sotto controllo l’aumento della glicemia dopo i pasti.

I carboidrati indigeriti sono utilizzati dai batteri intestinali che generano molto gas: ecco perché l’importante flatulenza rappresenta un effetto collaterale molto fastidioso di questo farmaco.

– Glinidi

La repaglinide è un farmaco che, analogamente alle sulfoniluree, stimola la secrezione insulinica. A differenza delle sulfoniluree ha una durata d’azione relativamente breve, per cui deve essere assunto prima dei pasti. Si può considerare un regolatore della glicemia prandiale, con un minore stimolo della secrezione insulinica lontano dai pasti. La sua breve emivita riduce il rischio di ipoglicemie rispetto alle sulfaniluree.

Le molecole di nuova generazione

Negli ultimi anni sono state messe a punto nuove classi di farmaci. In particolare, la ricerca ha sviluppato molecole attive sul sistema delle incretine e sul riassorbimento del glucosio a livello renale.

– Le incretine

Le incretine sono ormoni prodotti naturalmente dopo il pasto che stimolano la produzione di insulina, inibiscono la secrezione di glucagone, ritardano lo svuotamento gastrico, riducono l’appetito. L’incretina più coinvolta in questo processo è il GLP-1. Le incretine prodotte vengono degradate entro pochi minuti dall’enzima DPP-4.

Nei pazienti con diabete di tipo 2 la produzione di incretine è deficitaria. Questi nuovi farmaci correggono questo difetto: o rimpiazzano con una molecola simile prodotta in laboratorio il GLP-1 carente (exenatide, liraglutide) o inibiscono l’enzima DDP-4 (sitagliptin, vildagliptin, saxagliptin, alogliptin, linagliptin) che distrugge le incretine. Di conseguenza, alzano il livello di incretine.

– Gli inibitori del trasporto renale del glucosio

Sono molecole (come la dapagliflozina) introdotte in Italia da pochi mesi per la terapia del diabete di tipo 2. Riducono la glicemia, aumentando l’eliminazione di glucosio con le urine.

Quando il sangue arriva al rene, il glucosio passa dal plasma al filtrato glomerulare (il fluido che si trasformerà in urina): se le glicemie sono normali tutto il glucosio viene riassorbito per cui non arriva nelle urine, mentre se le glicemie sono alte, ovvero superiori a 180 mg/dl, il glucosio nel filtrato glomerulare eccede la capacità dei sistemi di riassorbimento e viene eliminato con le urine. Gli inibitori del trasporto renale del glucosio bloccano il riassorbimento renale del glucosio anche a glicemie inferiori a 180 mg/dl, aumentando considerevolmente la perdita urinaria di zuccheri e riducendone i livelli nel sangue.

Questi farmaci hanno quindi un meccanismo d’azione che non è dipendente dall’insulina, per questo sono unici nel panorama dei farmaci per il diabete.

Quando serve la terapia insulinica

Alcuni pazienti con diabete di tipo 2, soprattutto dopo alcuni anni di malattia, possono necessitare della terapia insulinica.

In certi soggetti può essere sufficiente associare alla terapia con farmaci per bocca un’insulina basale, in genere somministrata alla sera prima di coricarsi. In altri pazienti può essere necessario ricorrere a un’insulina basale alla sera e a iniezioni di insulina rapida prima dei pasti, sospendendo le pastiglie per il diabete.

Quando le glicemie sono alte nonostante la regolare assunzione dei farmaci per bocca, una dieta e un’attività fisica adeguate, non è opportuno ritardare l’inizio della terapia insulinica, perché l’obiettivo è controllare le glicemie nel più breve tempo possibile.

Il medico valuterà la situazione di ogni singolo paziente e concorderà con lui il trattamento più adeguato. Oggi, del resto, si punta sempre di più sulla terapia mirata.

Il diabete gestazionale

Esiste un diabete particolare, definito gestazionale, e legato a uno dei periodi più emozionanti della vita di una donna: i nove mesi di gravidanza.

Si parla di diabete gestazionale quando l’aumento della glicemia a digiuno o dopo i pasti si osserva per la prima volta durante la gravidanza, nella maggioranza dei casi nel secondo trimestre. Solo in una minoranza di donne le glicemie alte a digiuno sono già presenti nelle prime settimane di gravidanza, spesso per un diabete di tipo 2 non diagnosticato prima.

L’aumento della glicemia in gravidanza non provoca in genere sintomi e per questo la diagnosi può essere fatta soltanto con un carico orale di glucosio tra la 24a e la 28a settimana di gravidanza, consigliato a tutte le donne a rischio. Nella maggioranza delle donne con diabete gestazionale le glicemie tornano normali dopo il parto.

Le future mamme a rischio

Possono andare incontro a un diabete gravidico soprattutto le seguenti categorie di gestanti:

donne di età maggiore o uguale a 35 anni;

donne con diabete gestazionale in una precedente gravidanza (anche se un carico orale di glucosio eseguito a 16-18 settimane di gravidanza era normale);

donne con familiarità di primo grado (genitori, fratelli o sorelle) per diabete di tipo 2;

donne in sovrappeso o obese già prima della gravidanza (Bmi-Indice di massa corporea maggiore o uguale a 25);

donne che in una precedente gravidanza hanno partorito un bimbo con peso di 4,5 chili e oltre (bimbo macrosoma);

donne provenienti da Paesi ad alta prevalenza di diabete di tipo 2 (Asia meridionale, Caraibi, Medio Oriente)

Le conseguenze

Se il diabete gestazionale non viene controllato adeguatamente, il bambino può andare incontro ai seguenti problemi:

un peso alla nascita eccessivo, spesso oltre i quattro chilogrammi (questa eventualità può rendere necessario il parto cesareo o l’induzione del parto prima del termine della gravidanza, solitamente intorno alla 38a settimana, oltre a causare un maggior rischio di traumi al momento del parto);

un aumentato rischio di ipoglicemia dopo la nascita (infatti, dopo il taglio del cordone ombelicale, il bambino avrà in circolo molta insulina, stimolata dalle glicemie elevate nella mamma).

Il diabete gestazionale non aumenta la frequenza di malformazioni congenite o il rischio di aborto nel primo trimestre perché nelle prime settimane di gravidanza, quando vi è la formazione degli organi, la glicemia materna risulta normale.

L’importanza della dieta

Il diabete gestazionale si cura innanzitutto con un’alimentazione corretta. Pochi giorni di una dieta sana e bilanciata consentono di normalizzare le glicemie in 8 donne su 10 con diagnosi di diabete gestazionale. In linea di massima l’alimentazione deve essere:

limitatata nelle calorie (1.600-2.000 calorie giornaliere a seconda del peso prima della gravidanza);

bilanciata (almeno 50% in zuccheri, e circa 30% di grassi e 20% di proteine) in modo da fornire al bimbo tutto quanto serve per il suo corretto accrescimento;

povera in carboidrati semplici (zuccheri); si consiglia cioè di eliminare zucchero bianco o di canna, miele, biscotti, pasticcini, marmellata, frutta molto dolce (cachi, uva, fichi, banane), dolci al cioccolato, eccetera;

calibrata nei carboidrati complessi (pane, pasta, riso, legumi, patate), suddivisi nell’arco della giornata nei tre pasti principali e in due spuntini a metà mattina e metà pomeriggio ed eventualmente uno spuntino serale;

ricca di verdure cotte o crude, che possono essere consumate a piacere con attenzione alla quantità dei condimenti utilizzati.

Quando servono i farmaci

Solo per una minoranza di donne sarà necessario ricorrere alla terapia insulinica per abbassare le glicemie alte in gravidanza. Solitamente la terapia insulinica viene sospesa al momento del travaglio e non è più necessaria dopo il parto.

Tra le 6 e le 12 settimane dopo il parto, per controllare che la tolleranza glucidica sia tornata normale, è necessario ripetere il carico orale di glucosio con 75 grammi. Il solo controllo della glicemia a digiuno non è sufficiente perché non consente di valutare le glicemie dopo l’assunzione di glucosio.

Il diabete gestazionale aumenta il rischio di sviluppare il diabete di tipo 2 più tardi negli anni. Mantenere il peso ideale e praticare un’attività fisica costante aiutano molto a prevenire questa eventualità o a ritardarne l’insorgenza.