15/01/2018

Dermatiti da contatto

I fattori di rischio e le sostanze responsabili alla base di questi disturbi non sempre collocati all'interno delle allergie

L’ultimo grande gruppo di allergie è rappresentato dalle dermatiti da contatto, ossia reazioni di tipo cutaneo scatenate dal contatto diretto con la sostanza verso cui la persona è allergica.

Si tratta di un disturbo che colpisce prevalentemente le persone di età compresa fra i 40 e i 45 anni, senza distinzioni di sesso.

È molto diffusa in ambito lavorativo (le dermatiti da contatto rappresentano circa l’80- 90% delle malattie della pelle professionali), ma si riscontra di frequente anche al di fuori del contesto professionale.

Non sempre sono allergie

Dermatite è un termine generico usato per indicare una malattia infiammatoria acuta o cronica della pelle. Quando essa è provocata dal contatto diretto con determinate sostanze si parla di dermatite da contatto.

Quest’ultima non necessariamente è di tipo allergico. Anzi, nella maggior parte dei casi, è di tipo irritativo. In pratica, il danno sulla pelle avviene con meccanismo diretto e nella sede di contatto. In genere, i responsabili sono agenti chimici acidi o alcalini o vegetali, come i detersivi o alcune erbe.

Le dermatiti da contatto allergiche sono provocate dall’esposizione a un allergene e vedono il coinvolgimento del sistema immunitario. A differenza delle altre allergie, però, non sono mediate dalle IgE, ma da un particolare tipo di linfociti T. Questo tipo di reazione è definita ritardata perché si completa in due-tre giorni.

I fattori di rischio

Oltre ai fattori di rischio classici, gli esperti ne hanno identificati altri più specifici che aumentano le probabilità di sviluppare una dermatite allergica da contatto. Ecco i principali:

preesistenti condizioni cutanee, come tagli o graffi, attraverso cui le sostanze allergeniche possono facilmente introdursi nel corpo della persona;

la natura chimica, la quantità e la concentrazione della sostanza, oltre alla durata e alla frequenza di esposizione (più una sostanza è concentrata e più la persona sta a contatto con essa, più è alto il rischio di allergia);

caratteristiche individuali relative alla resistenza cutanea, che in genere aumenta con l’età;

permanenza, per motivi di lavoro, in luoghi caratterizzati da aria secca: può causare screpolature della pelle;

professioni che espongano a traumatismi cutanei, di entità variabile, come piccole ferite, abrasioni ed escoriazioni.

Le sostanze responsabili

Nella maggior parte dei casi, le dermatiti allergiche da contatto sono causate dall’esposizione a metalli, in particolare nichel e cobalto.

Tuttavia, occorre tenere presente che moltissime altre sostanze possono scatenare reazioni di questo tipo, dai farmaci applicati localmente ai detersivi, dai tessuti ai cosmetici.

Il nichel

Essendo un oligoelemento, cioè un minerale indispensabile per l’organismo, ma solo in quantità minime (il fabbisogno giornaliero è stimato intorno ai 50-75 mg), il nichel è una sostanza preziosa: svolge, infatti, un ruolo molto importante nel metabolismo degli acidi nucleici, che sono la sede di tutte le informazioni genetiche e il modello per la produzione delle proteine. Inoltre, è coinvolto nel metabolismo degli ormoni e del glucosio.

Tuttavia, quando le sue concentrazioni aumentano, si trasforma in un elemento molto tossico e dannoso per la salute della persona.

Gli esperti hanno scoperto che l’allergia al nichel presenta una particolarità, che la rende diversa da tutte le altre forme di dermatiti da contatto. Questo metallo, infatti, si accumula giorno dopo giorno nell’organismo, raggiungendo con il tempo una soglia limite. In genere, nelle persone geneticamente predisposte, questo livello è molto basso e bastano pochi contatti per raggiungerlo. Questa ipotesi spiega perché certi individui manifestano improvvisamente l’allergia, anche se è da anni che toccano oggetti contenenti nichel.

Dove si trova

Il nichel è un metallo a diffusione pressoché ubiquitaria, è cioè presente in molti oggetti di uso comune: bigiotteria, piercing, accessori del vestiario, protesi, impianti ortodontici, amalgama dentario, aghi, pentole e oggetti per la cucina, bracciali e casse di orologio, chiavi, accendini, parti metalliche degli occhiali, monete, targhette di identificazione, manici degli ombrelli, utensili da cucina, lavelli metallici, forbici, ditali, fermacarte, sedie di metallo, maniglie delle porte, oggetti elettronici, coloranti per oggetti di vetro, stoviglie di terracotta, porcellana, mordente, liquidi e matrici per fotocopiatrici, tinture per capelli, liquidi utilizzati per permanenti, fermagli, prodotti cosmetici, trucchi.

Il nichel è presente anche in alcuni cibi: lenticchie, aringhe, fagioli, piselli, arachidi, soia, asparagi, cipolla, pomodori, farina di mais, tè, cacao, ostriche, pere, funghi, lieviti artificiali, asparagi, uva passa, rabarbaro, cavoli, cavolini di Bruxelles, cibi in scatola.

Le persone più a rischio: i lavoratori dell’industria metalmeccanica e di quella automobilistica, gli impiegati nell’industria tessile, i parrucchieri (per l’uso di forbici placcate con nichel), gli impiegati e i commessi di negozi (per il frequente contatto con monete).

Il cobalto

Anche il cobalto è un oligoelemento “amico” dell’organismo in dosi minime: fa parte della vitamina B12 ed è, quindi, coinvolto nella produzione dei globuli rossi. Per questo, sembra sia utile nella cura delle anemie.

Come il nichel, però, in alte concentrazioni diventa tossico.

Dove si trova

Rispetto al nichel, è meno diffuso. Si trova in: gioielli, cerniere, montature degli occhiali, forcine per capelli, arricciacapelli, posate e utensili da cucina, maniglie, ombrelli, fertilizzanti chimici, carte, vernici, inchiostro, prodotti tessili, tinture, disinfettanti, materie plastiche, colle, cuoio conciato, fotografia, cosmetici, shampoo, disinfettanti, alcol denaturato e alcune candeggine.

Le persone più a rischio: i pittori, gli imbianchini, i parrucchieri, i lavoratori dell’edilizia.