25/11/2020

Violenza di genere: come riconoscerla e contrastarla

Veronica Colella Pubblicato il 25/11/2020 Aggiornato il 25/11/2020

In occasione della Giornata internazionale contro la violenza sulle donne una psicologa spiega quali sono i segnali da non sottovalutare e come dire basta

Stop violence against women, international women's day

È arrivato il 25 novembre, ricorrenza in cui si celebra la Giornata mondiale contro la violenza sulle donne. Riconoscerne i segnali è il primo passo per contrastarla, soprattutto quando assume forme più sottili di un occhio nero o di un osso rotto. Il grande equivoco che riguarda la violenza di genere, come spiega la dottoressa Patrizia Mattioli di Guidapsicologi.it, è pensare che sia un problema che riguarda gli altri, magari limitato a contesti problematici o alle persone scarsamente istruite. Invece si tratta di un fenomeno trasversale, con vittime e carnefici di ogni età, ceto e livello di istruzione. Come capire quando si subisce violenza psicologica e come aiutare chi ne è vittima?

I segnali da non sottovalutare

La violenza di genere non passa solo attraverso aggressioni fisiche e verbali, spiega l’esperta, ma può manifestarsi in maniera più subdola. A scatenarla può essere la semplice appartenenza al genere femminile, passa attraverso l’uso di un linguaggio sessista e per il mantenimento della disuguaglianza tra uomo e donna.

Spesso inizia come forma di violenza psicologica, approfittando di bassa autostima e insicurezza. Sono violenza anche le offese, le minacce, le umiliazioni, il controllo costante o quei comportamenti messi in atto per generare senso di colpa nella vittima e farle il vuoto intorno.

Ecco perché lividi e ferite non sono gli unici campanelli d’allarme a cui prestare attenzione, anche se è sempre significativo quando sono ricorrenti e spiegati con reticenza.

Esistono anche segnali di natura psicologica, come il cambiamento dell’umore, la tendenza a spaventarsi anche di fronte a stimoli apparentemente neutri, la diffidenza verso chi fa domande e la tendenza a isolarsi, scomparendo progressivamente dalle vite di parenti e amici. Questo comportamento risponde a due esigenze, quella di accontentare le richieste del partner violento e quella di nascondere la gravità di quello che accade, agli occhi degli altri e ai propri.

Perché non si denuncia?

Non è facile prendere le distanze dal proprio carnefice, precisa l’esperta. Se da fuori la scelta sembra ovvia, così non è per chi vive il rapporto nella sua complessità. “Spesso si tratta di relazioni caratterizzate dalla dipendenza affettiva. Il partner che poi si rivela violento è stato inizialmente (e lo è generalmente dopo ogni episodio violento) amorevole e premuroso e c’è la difficoltà di integrare i due atteggiamenti. È come se di fronte all’atteggiamento affettuoso la donna si dimenticasse che è la stessa persona che le ha fatto del male, tendendo a giustificare i motivi della violenza o attribuirsene la responsabilità”. Se denunciare diventa difficile è proprio perché si inizia a credere di avere in qualche modo provocato la violenza, o perché si ha paura di ammettere di aver fatto la scelta sbagliata. Alla vergogna e al senso di colpa si sommano altre paure, come quella di non essere credute o di non poter essere aiutate.

Le stesse difficoltà sono riconosciute persino dall’Istat, che fatica a reperire i dati reali sulla portata del fenomeno. Se rimane in larga parte sommerso è perché spesso i maltrattamenti avvengono in famiglia, creando ulteriori esitazioni quando si pensa all’effetto che la denuncia avrebbe su altre persone care. E la convivenza forzata nei mesi di lockdown ha esacerbato la situazione, come conferma il recente report della Direzione centrale della polizia criminale su femminicidi e reati spia (come lo stalking, i maltrattamenti in famiglia e le violenze sessuali).

Come essere d’aiuto

Stando ai dati raccolti da Guida Psicologi, durante il lockdown le ricerche online sui segnali che aiutano a capire se si è vittime di violenza psicologica sono aumentate del 65% rispetto all’anno precedente, dimostrando che la consapevolezza è in aumento. Naturalmente sul piano culturale c’è ancora molta strada da fare, ma possiamo essere d’aiuto a chi ne è vittima mostrando di saper ascoltare. “Se si ha un’amica con cui non si riesce più a interagire, se si è isolata, allontanata senza spiegazioni o con spiegazioni incoerenti, va considerata la possibilità che sia vittima di un maltrattamento psicologico. In generale quando ci si trova di fronte a maltrattamenti e violenze, la cosa migliore da fare è rinforzare il più debole” conclude l’esperta.