15/09/2022

Revenge porn: per fermarlo smontiamo le convinzioni sessiste

Veronica Colella Pubblicato il 15/09/2022 Aggiornato il 15/09/2022

Chi è più incline a condividere foto intime senza consenso tende a minimizzare o negare le conseguenze del suo gesto. Questo è il primo comportamento da correggere 

Revenge porn

A conti fatti, avremmo potuto scegliere un termine migliore. Parlare di revenge porn confonde le idee, in più di un senso. Lo spiega bene Claudia Torrisi su Valigia Blu, invitando insieme alla sociologa Silvia Semenzin all’uso di locuzioni alternative come “diffusione non consensuale di immagini intime”. Si parla di sesso, questo sì, ma le foto e i video ricevute in privato o rubate dal cloud hanno poco a che fare con la natura commerciale della pornografia e molto di più con l’espressione di sé.

Persino il richiamo alla vendetta si è rivelato inadeguato. Non sempre si tratta di una questione personale, né tantomeno di un’azione motivata da un “torto” subito o percepito.

Un ruolo chiave è giocato invece dalle norme sociali e dai falsi miti che permettono a chi partecipa di minimizzare o ignorare le conseguenze delle proprie azioni, allontanando eventuali sensi di colpa. Ne parla una recente ricerca pubblicata sul Journal of Sexual Aggression, indagando i tratti della personalità e le convinzioni che rendono più inclini a condividere foto private di celebrità e complete sconosciute.

Di chi è la colpa?

Quando nel 2014 le foto private di star come Jennifer Lawrence o Kirsten Dunst sono state riversate su internet, la curiosità ha avuto la meglio sulle buone intenzioni di molte persone. Non solo, in molte discussioni online le voci critiche sono state messe a tacere piuttosto in fretta. Dopotutto, se non avessero voluto essere guardate non si sarebbero dovute scattare quelle foto. E poi che differenza c’è tra finire nude su internet e spogliarsi per un film o per un servizio fotografico?

L’aspetto più preoccupante della vicenda, secondo i ricercatori, è la tendenza a dare per scontato che chi acconsente a inviare una foto di nudo in privato non debba avere obiezioni se la stessa foto finisce per essere vista e condivisa da migliaia di sconosciuti. Spostando così la responsabilità su chi si è dimostrata troppo ingenua o incauta e allo stesso tempo sminuendo l’importanza dei suoi sentimenti o della sua volontà.

Le convinzioni che assolvono

Nello studio, i ricercatori hanno somministrato a 816 studenti un questionario basato sull’Illinois Rape Myth Acceptance Scale, cercando di valutare l’impatto dei falsi miti sulla violenza sessuale, opportunamente adattati al contesto, su convinzioni e comportamento. Ai partecipanti è stato chiesto di dichiararsi più o meno d’accordo con frasi come “le donne dovrebbero sentirsi lusingate se il loro partner o il loro ex mostrasse agli amici più stretti le loro foto intime”, oppure “le donne tendono a esagerare quando descrivono le conseguenze che avrebbe la diffusione di una loro foto di nudo su internet”.

In più, sono stati sottoposti a una serie di domande per valutare la loro disponibilità a diffondere immagini intime senza il consenso della diretta interessata, provando a immaginare come si sarebbero sentiti dopo averlo fatto, e infine a una valutazione dei tratti della personalità riconducibili alla cosiddetta “tetrade oscura” (narcisismo, sadismo, psicopatia e machiavellismo).

Cambiare la narrativa

Rassicura sapere che circa la metà dei partecipanti (il 51.8%) ha dichiarato di non essere affatto disposto a tradire la fiducia dei propri compagni di sexting, ma solo il 28.6% ha affermato di non trovare la situazione minimamente eccitante o divertente. Non stupisce che chi trae maggiore soddisfazione dal revenge porn siano i partecipanti con più tratti associati a narcisismo, psicopatia e sadismo, né che i più inclini a condividere immagini intime senza consenso siano i partecipanti che hanno sposato più convinzioni tra quelle che portano a incolpare la vittima o a minimizzare i danni. Un risultato che secondo i ricercatori evidenzia le responsabilità collettive e l’importanza di smontare luoghi comuni e convinzioni sessiste.