27/04/2021

Telefobia: perché il telefono è diventato una fonte di ansia

Veronica Colella Pubblicato il 27/04/2021 Aggiornato il 27/04/2021

Telefonare non ci piace più, anzi. Per alcune persone basta uno squillo per essere assalite da ansia e preoccupazione

Reading Bad News on Mobile Phone. Young teenage woman checking her messages and social media post on her mobile phone. Looking worried and questioning reading the bad news and messages on her smart phone. Urban Young Generation Social Media Lifestyle Portrait.

Perché telefonare quando si può scrivere, o al massimo mandare un vocale? È quello che si chiedono sempre più millennial e anche qualche baby boomer, almeno secondo un’indagine condotta nel Regno Unito da Face For Business nel 2019. E questo prima della pandemia, quando almeno ci erano risparmiate le videolezioni e le riunioni su Zoom.

Tra le tante ragioni per cui molti hanno sviluppato una fortissima antipatia per questa forma di interazione c’è l’associazione tra la telefonata e il presagio di sventura. Alle chiamate fuori programma associamo sempre più spesso scocciature, cattive notizie e tentativi di frode, sempre meno sorprese gradite o inviti a cena.

Ma c’è anche chi detesta con tutto il cuore il pensiero di dover telefonare quando preferirebbe scrivere o usare una app.

La paura di parlare

Essere costretti a interagire in una modalità così immediata non piace (quasi) più a nessuno, spiega la psicologa Ilham Sebah del Royal Holloway. In un lungo articolo apparso su The Conversation, l’esperta fa una distinzione tra chi detesta cordialmente le telefonate e chi invece al solo pensiero di riceverne una sperimenta una serie di sintomi riconducibili a un attacco d’ansia in piena regola. Chi soffre di fobia sociale conosce bene le avvisaglie: muscoli in tensione, tendenza a procrastinare il più possibile, eccessiva preoccupazione e pensieri ossessivi sul contenuto della telefonata, nausea, palpitazioni, fiato corto e leggero senso di vertigine. Scrivere avrà le sue limitazioni ma permette di riflettere più a lungo, di scegliere con più calma le parole, per i timidi è l’occasione di sfoggiare personalità più aperte e spigliate invece che impacciate e titubanti.

Era meglio incontrarsi

Andare a braccio in una conversazione è particolarmente difficile per gli ansiosi, mentre la possibilità di rileggere un testo prima di inviarlo può essere molto rassicurante per chi fatica a trovare le parole giuste. Una telefonata può sembrare una via di mezzo accettabile, ma solo superficialmente. Prendersi un caffè con qualcuno per discutere dello stesso argomento non fa sentire così sulle spine, perché in quel contesto risulta più naturale prendersi qualche secondo per rispondere a una domanda scomoda o anche solo per raccogliere le idee. Rispetto all’interazione faccia a faccia poi mancano tutti quei segnali fisici che aiutano a leggere i comportamenti dell’altro, dagli sguardi alla postura.

Riabituarsi poco alla volta

È legittimo chiedersi se in mezzo non ci sia anche una questione generazionale. Per i millennial, scrive Daisy Buchanan sul Guardian, una chiamata in arrivo è come un’imboscata, una fastidiosa intrusione, una forzatura delle buone maniere del XXI secolo. Richiede tutta la nostra attenzione, a prescindere da quello che stiamo facendo in quel momento. Se abbiamo già difficoltà di concentrazione, come in questo periodo particolarmente stressante, perdere il filo dei nostri pensieri è molto più di una seccatura. Proprio per questo però conviene non cedere alla tentazione di disabituarsi del tutto a telefonare: la mancanza di pratica può rendere l’esperienza ancora più “aliena”, alimentando ansia e disagio.