Stress in ufficio: quanto incide il linguaggio (sgradevole)
Una recente ricerca mette in luce quanto la pressione emotiva influenza la comunicazione sul posto di lavoro e quali sono le frasi più offensive o demotivanti
I luoghi di lavoro sono spesso una fonte di grande stress: i rapporti con i colleghi, le divergenze, le discussioni, le difficoltà da affrontare, il tempo da gestire correttamente, gli imprevisti possono diventare motivi di tensione. Una ricerca compiuta lo scorso giugno dalla piattaforma Babbel for Business, in collaborazione con l’istituto Censuswide, ha evidenziato come il linguaggio negativo, generato da situazioni di ansia lavorativa, influisca sul dialogo, sulle relazioni e sulle performance aziendali. Se anche a voi, in ufficio, è capitato di usare toni ed espressioni poco professionali in situazioni di forte stress, o di subirle da parte dei colleghi, vi riconoscerete nei dati emersi dallo studio.
I più giovani vivono con maggiore intensità l’impatto dello stress sulla comunicazione fra colleghi, mentre le generazioni più mature sembrano non notarlo, o ammetterlo in misura minore.
Differenze generazionali
Quasi la metà degli italiani (46%) ammette di aver utilizzato un linguaggio offensivo o espressioni taglienti in momenti di grande pressione lavorativa. La differenza generazionale è evidente: il 75% della Gen Z (meno di 27 anni) e il 65% dei Millennial (28-45 anni) dichiarano di vivere questa dinamica, mentre le percentuali scendono al 47% per la Gen X (45-60 anni) e al 32% per i Baby Boomer (over 60).
Secondo lo studio, l’età influisce in modo marcato sull’autocontrollo e, di conseguenza, anche sulla capacità o meno di rivolgersi agli altri in modo pacato e professionale nei momenti di maggior pressione. Il 34% del panel dichiara che il sovraccarico emotivo non influenza la propria comunicazione sul posto di lavoro, ma solo il 13% della Gen Z sembra essere “imperturbabile”, mentre tra i Baby Boomer la percentuale sale al 46%.
Come influenzano il rendimento
Poiché le parole che scegliamo sul posto di lavoro hanno un impatto concreto sullo stato d’animo dei colleghi e sul funzionamento dei team, al di là delle differenze anagrafiche tutti gli intervistati concordano su un punto chiave: il 37% afferma che questi comportamenti tesi si riflettono negativamente sulla produttività, mentre il 36% ne sottolinea le ripercussioni sul benessere e sulle relazioni interpersonali. Un ambiente lavorativo negativo influisce infatti in maniera significativa sulla motivazione e soddisfazione (71%), seguita dalla qualità delle relazioni con i colleghi (70%) e dalla capacità di esprimersi in modo chiaro e assertivo (66%).
Le parole fonte di malessere
I dati che emergono dalla ricerca circoscrivono anche le frasi e le espressioni che, più di altre, sono fonte di malessere, ansia e tensione per chi le ascolta. La frase “ho brutte notizie” è indicata come la più stressante da quasi un terzo degli intervistati (31%), seguita da “dobbiamo parlare” (30%, dato che sale fino al 39% tra i Millennial). Per la Gen Z, invece, l’espressione “mi aspettavo di più da te” è quella che crea maggiore tensione (37%). Le espressioni più taglienti o poco costruttive nella comunicazione fra colleghi, di cui ci si pente di più dopo averle pronunciate, sono invece: “non è il mio lavoro” (33%), “fai sempre degli errori” (31%), “non me ne importa nulla” (30%), “abbiamo sempre fatto così” (27%) e “non ho tempo” (25%).
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