26/01/2021

Se lo smartphone diventa la tua coperta di Linus

Veronica Colella Pubblicato il 26/01/2021 Aggiornato il 26/01/2021

La dipendenza da cellulare può nascondere sentimenti di inadeguatezza e di inferiorità

Shot of a young woman taking a selfie while spending a day in the city

Dimenticare il cellulare a casa non dovrebbe essere un dramma, ma c’è chi non sopporta il distacco nemmeno per poche ore.

Una vera e propria ansia da separazione che può nascondere problemi di altro tipo, come una tendenza ossessivo-compulsiva o una forte inadeguatezza che manda in apprensione chi è costretto a rinunciare alla propria moderna coperta di Linus.

Lo racconta uno studio di Ana-Paula Correia, docente di Tecnologie di apprendimento all’Università dell’Ohio.

Alla radice della dipendenza

A partecipare ai questionari proposti dai ricercatori sono stati 495 studenti portoghesi, di età compresa tra i 18 e i 24 anni. Come molti giovani adulti, utilizzano gli smartphone principalmente per connettersi ai social, passando sul telefono tra le 4 e le 7 ore al giorno. Studi precedenti avevano già evidenziato come queste app siano in grado di creare una certa dipendenza, a dispetto dell’alto livello di “tecnostress” generato dallo scorrere continuamente gli aggiornamenti di amici e sconosciuti. E anche una specifica forma di panico, che gli addetti ai lavori hanno battezzato “nomofobia” da “no-mobile”, niente cellulare. A mettere in crisi è la mancanza di connessione, che spezza i legami con gli altri e rende temporaneamente inaccessibile la mole di informazioni su cui facciamo affidamento per prendere le nostre decisioni. Dalle risposte dei partecipanti, a cui è stato chiesto di compilare anche un questionario per valutare i sintomi di ansia, comportamenti ossessivo-compulsivi e inadeguatezza, i ricercatori hanno ricostruito l’identikit delle persone più a rischio di sviluppare questo tipo di dipendenza, scoprendo che può essere la spia di problemi più seri.

Anime digitali alla deriva

Se i cellulari sono così importanti, spiegano i ricercatori, è perché sono diventati molto più che un’estensione di noi stessi. Addirittura, alcuni studi suggeriscono che il nostro cervello abbia iniziato a considerare gli smartphone una parte del corpo, reagendo all’assenza della familiare vibrazione di un messaggio o di una chiamata in arrivo allo stesso modo in cui gestirebbe un arto mancante. Il distanziamento sociale ha reso ancora più centrale questa esperienza, trasferendo nel mondo digitale anche luoghi di lavoro, scuola e affetti. Chi è più a rischio di instaurare un rapporto malsano con la tecnologia, avvertono Correia e colleghi, sono le persone con una bassa autostima e quelle che soffrono di ansia sociale, ma anche quelle poco proattive e con scarse capacità di coping. In questi casi lo smartphone si trasforma da mezzo di comunicazione in strumento di gestione dello stress, in grado di rassicurare e di placare la solitudine. Il rischio è che nascondersi dietro a uno schermo esacerbi gli stessi problemi che rendono il telefono tanto consolante, con una ricaduta negativa sulla qualità della vita.

Ma demonizzare la tecnologia non serve

Una volta tanto, non è questione di digital detox. Lo studio ha anche evidenziato i fattori protettivi che consentono di passare le stesse ore al cellulare senza però sviluppare alcun disagio fisico o psicologico in sua assenza. Chi è più equilibrato è chi ha un alto livello di istruzione e soprattutto relazioni più serene con famiglia e amici, a riprova del fatto che i problemi messi in luce dalla nomofobia sono più profondi. Demonizzare la tecnologia non serve a niente, né ha senso rimproverarsi per tutte le ore sprecate su Facebook o Instagram. Quello che davvero può aiutarci è una riflessione a mente fredda sui motivi per cui sentiamo il bisogno di collegarci così spesso, imparando a prenderci cura di noi stessi.