15/01/2023

Le parole feriscono davvero

Veronica Colella Pubblicato il 15/01/2023 Aggiornato il 15/01/2023

Ai complimenti ci si abitua, agli insulti invece no. E ogni volta fanno male come la prima volta

Two female friends sitting on sofa and arguing with each other

Davanti all’insulto siamo tutti suscettibili, a prescindere dall’invidiabile aplomb con cui riusciamo a incassarli.

E forse è perché non possiamo fare a meno di coglierli come una minaccia alla nostra reputazione o come un atto di ostilità a cui è bene prestare attenzione, molto più che a una lusinga.

A suggerirlo è un recente studio dell’Università di Utrecht, pubblicato su Frontiers in Communication.

Le differenze con i complimenti

A suscitare la curiosità dei ricercatori è la capacità innata dell’insulto di perseguitare chi lo riceve. Quando riceviamo un complimento tendiamo a dimenticarcene piuttosto in fretta, ma se qualcuno ci offende possiamo passare giorni interi immersi in rimestamenti interiori. E questo senza considerare il puntuale esprit de l’escalier che fa sì che le risposte migliori ci vengano in mente sempre quando è troppo tardi per restituire il colpo.

Poi c’è un’altra differenza, non di poco conto. Di fatto ai complimenti è possibile abituarsi, tanto più che c’è anche chi suggerisce che faremmo meglio a dosarli. Nel caso dei bimbi dotati di bassa autostima, per esempio, complimenti troppo frequenti o esagerati rischiano di generare standard e aspettative difficili da mantenere, scoraggiandoli dal mettersi alla prova.

Quando si tratta di insulti verbali, invece, ogni volta è come se fosse la prima volta. Ma come mai non riusciamo a ignorarli, né a diventare progressivamente immuni?

Solo suscettibilità?

Una possibile spiegazione è nella nostra natura di animali sociali. Dal momento che siamo dipendenti gli uni dagli altri, spiegano i ricercatori, ogni minaccia alla nostra reputazione non può essere presa alla leggera. L’ipotesi è che alcune parole ostili generino a cascata una serie di reazioni, alcune temporanee e altre che richiedono più tempo prima di poter essere archiviate, in particolare quando ci toccano sul personale.

Per metterla alla prova hanno ideato un esperimento utilizzando un campione di 79 partecipanti di sesso femminile, utilizzando l’elettroencefalografia (EEG) e uno strumento per la registrazione della conduttanza cutanea per rilevare le reazioni emotive a insulti (es. “Linda è un’idiota”), complimenti (es. “Linda è un angelo“) e proposizioni neutrali (es. “Linda è una studentessa”), utilizzando a volte il nome della partecipante e a volte il nome di una compagna.

Impossibile non notarli

Persino in un ambiente innaturale come il laboratorio, l’insulto colpisce nel segno. Per quanto le reazioni “a pelle” a complimenti e insulti non differiscano in maniera significativa, per il cervello è tutta un’altra storia. In un certo senso, ascoltare determinate parole è come ricevere un piccolo schiaffo.

Anche sapendo che non c’è nulla di personale qualcosa fa sì che termini negativi come ‘idiota’ richiedano e ottengano immediata attenzione. Non solo, pare che le emozioni spiacevoli a cui sono legati siano radicate nella memoria a lungo termine, pronte per essere rievocate. Ragione in più per usarli con moderazione, consapevoli dell’effetto che hanno sulle altre persone.