23/02/2022

La competitività è (anche) femmina

Veronica Colella Pubblicato il 23/02/2022 Aggiornato il 23/02/2022

Alle donne competere piace quanto agli uomini, ma hanno bisogno del giusto incentivo

donne - competizione

Si dice che le donne siano meno competitive rispetto agli uomini, almeno sul lavoro. Una supposizione che permetterebbe di spiegare come mai siano ancora così poche le donne che rivestono posizioni di potere, sia in azienda che in politica. Due ricercatrici hanno messo alla prova questo assunto in uno studio pubblicato recentemente su Proceedings of the National Academy of Sciences (PNAS), scoprendo che alle donne competere piace eccome: tutto dipende dal giusto incentivo.

Cos’è il gender wage gap

È difficile determinare con esattezza come mai le donne continuino a guadagnare meno e a fare meno carriera rispetto agli uomini, nonostante i successi formativi. Una decina d’anni fa la sociologa italiana Francesca Sartori elencava gli svantaggi che segnano l’esordio delle ragazze sul mercato del lavoro, dai titoli di studio poco competitivi al carattere particolarmente atipico e instabile della forza lavoro femminile, su cui si riflettono i timori dei datori di lavoro nei confronti di eventuali gravidanze o di assenze per la cura dei figli.

Assumere e promuovere le donne di fatto non conviene, almeno finché tutti gli equilibrismi toccano alle neomamme. Tutti fattori che contribuiscono a creare un divario di genere ancora difficile da colmare.

Le ipotesi a confronto

Negli Stati Uniti la situazione non è molto diversa: a parità di qualifiche le donne vengono pagate in media il 2% in meno degli uomini e le loro traiettorie di carriera sono spesso meno ambiziose. Alcuni economisti suggeriscono che questo divario sia legato ai percorsi professionali delle donne, storicamente più rappresentate in settori meno remunerativi. Altri invece hanno ipotizzato che vengano snobbate per le promozioni perché troppo collaborative per farsi strada in un mondo che premia la competizione e l’assertività.

Un assunto che le autrici dello studio pubblicato su PNAS hanno voluto mettere alla prova, poco convinte che sia una questione di temperamento.

Solo se conviene

Si tratta di un dubbio legittimo, soprattutto considerando che il numero di donne ai vertici delle grandi compagnie è in crescita rispetto al passato. Oggi circa l’8% delle imprese citate nella famosa lista Fortune 500 sono guidate da donne, sottolineano le ricercatrici, segno che ritenere le donne meno competitive per natura potrebbe essere fuorviante. A fare la differenza potrebbero essere piuttosto gli incentivi che spingono a considerare la competizione vantaggiosa.

Gli esperimenti ideati per indagare le differenze di genere nella competizione hanno diviso i 238 partecipanti in due gruppi, a loro volta suddivisi in squadre di quattro persone. Il primo round, uguale per tutti, consisteva nel risolvere brevi esercizi di logica matematica, con un premio di 2 dollari per ogni risposta giusta. Nel secondo round invece i due gruppi sono stati incentivati in maniera differente: al primo è stato chiesto di risolvere gli esercizi dando una ricompensa di 4 dollari ai due membri più veloci di ogni squadra, mentre i due più lenti non avrebbero guadagnato nulla. Nel secondo gruppo invece è stata concessa a ogni squadra la possibilità di condividere parte della vincita con i perdenti. Arrivati al terzo round, entrambi i gruppi hanno potuto scegliere quale sfida ripetere: se la prima – in cui ognuno può vincere qualcosa ma si guadagna meno – o la seconda, più competitiva e rischiosa.

Il risultato? Solo il 35% delle donne ha preferito l’opzione competitiva nel gruppo in cui i più lenti non vincono nulla (contro il 51% degli uomini), mentre in quello dove è possibile condividere parte del premio la percentuale è salita al 60% (superando il 52.5% degli uomini). Non è del tutto vero, insomma, che alle donne competere non piace: a cambiare sono piuttosto le valutazioni di costi e benefici, diverse tra i due sessi.