09/11/2023

Digital detox: la rivincita del dumbphone

Simona Lovati
A cura di Simona Lovati
Pubblicato il 09/11/2023 Aggiornato il 10/11/2023

Pensano sia “stupido”, ma in realtà è uno dei metodi smart per depurarci, almeno un po’, dalla tecnologia digitale. E lo apprezzano anche i più giovani  

DUMB PHONE

Si chiama dumb (stupido) phone ed è un cellulare sprovvisto della tecnologia necessaria per connettersi alla rete, che permette solo di telefonare e inviare SMS, un ritorno di fiamma per quanti desiderano fare una pausa dell’iper-connessione. «Si utilizza il termine stupido in netta contrapposizione ai cellulari smart, che permettono di collegarsi a Internet e di accedere a motori di ricerca, geolocalizzazione, messaggistica istantanea, social network e app», spiega il dottor Angelo Capasso, psicologo psicoterapeuta a orientamento sistemico-relazionale e manager clinico della piattaforma di psicologia on line e Società Benefit Unobravo.

Negli ultimi anni si sta registrando, anche tra i più giovani, un lieve, ma sensibile e costante, incremento dell’acquisto di questi device, che sembravano destinati a scomparire o a essere relegati nelle nicchie di collezionisti e appassionati

.

Digital detox

La disintossicazione digitale si riferisce a uno stato in cui un individuo abbandona o sospende l’uso di dispositivi digitali impiegando quel tempo per dedicarsi a interazioni e attività sociali e ricreative in presenza. L’obiettivo è alleviare stress e ansia che possono derivare dall’elevato utilizzo di dispositivi digitali, liberarsi dalle tossine che ci entrano in circolo a causa del loro utilizzo e che non riusciamo a smaltire.

Ritorno alle origini

Se i millennials, cioè la popolazione di nati tra gli anni ‘80 e ‘90, hanno sperimentato la differenza tra un mondo disconnesso e un mondo permeato da Internet, sempre più ragazzi della generazione Z e Alpha (nati dalla fine degli anni ’90 in poi) non conoscono lo spartiacque tra il prima e il dopo Internet: per loro il mondo è sempre stato caratterizzato dall’esistenza di profili social, emoticon, videochiamata, da facilitatori e amplificatori della comunicazione. «Con questo fenomeno stiamo assistendo a un ritorno o forse – meglio ancora – a quello che potremmo definire a un interesse o avvicinamento a un’estetica del passato», precisa lo specialista. Utilizziamo il termine “estetica” non nell’accezione filosofica di disciplina del bello, ma facendo riferimento al suo significato originario che si basa sull’utilizzo della conoscenza attraverso la percezione dei sensi. Come se i giovani volessero sperimentarsi nel percepire la realtà in maniera meno amplificata, come avveniva prima degli smartphone, un modo di stare in relazione con gli altri e con il mondo molto diverso rispetto a una routine in cui la percezione sensibile è mediata dalla tecnologia smart.

Il lato oscuro della tecnologia

L’uso massiccio delle tecnologie digitali ha un’influenza sul processo psichico sia se lo guardiamo nella sua totalità, sia se osserviamo più nel dettaglio i diversi sotto-processi con il quale siamo soliti descriverlo come la percezione, l’apprendimento, la memoria, l’emozione. Questa influenza può riguardare ad esempio il modo in cui percepiamo la realtà – essere followers di un personaggio famoso può farlo sembrare molto più vicino a noi nonostante lui non sappia della nostra esistenza – o può riguardare il modo in cui apprendiamo, perché abbiamo accesso a una quantità di informazioni, la cui qualità non è verificata, e al contempo abbiamo sempre meno strumenti per filtrare queste informazioni a livello critico. Anche il modo in cui ricordiamo può essere influenzato: possiamo conservare molte più foto e messaggi di un tempo e possiamo memorizzare al di fuori da noi stessi tutti i dati che ci occorrono con il rischio di non sapere attingere a loro se non con il supporto di un dispositivo. Inoltre, lo stimolo della notifica di un “like” può produrre immediata gratificazione, con la produzione di ormoni come ossitocina e serotonina, ma anche dipendenza quando stimola la produzione di dopamina. Inoltre, dal momento che il nostro cervello consuma energia ogni volta che passiamo da un’operazione mentale all’altra (ad esempio quando leggiamo un messaggio su Whatsapp mentre stavamo svolgendo una mansione a lavoro), affatichiamo inconsapevolmente la nostra mente, aumentando la produzione di ormoni dello stress come il cortisolo.

Niente è sotto accusa

Attenzione, però. Non è tanto l’utilizzo dei device digitali da demonizzare, ma piuttosto il loro abuso. «L’assuefazione che essi creano può sfociare in dipendenza con effetti sull’umore, sul sonno, sull’attenzione e, inevitabilmente, anche sulla vita affettiva. Il ritorno ai dumbphone e il digital detox sono espedienti di igiene mentale e relazionale da valorizzare nell’era dell’iper-connessione. Tuttavia, dal momento che è la società stessa ad essere dipendente dal potere di questi strumenti per tutti gli innegabili vantaggi che apportano, sarebbe impensabile rinunciare a questi benefici», conclude. L’ideale sarebbe introdurre pratiche che depurino dai device digitali nella propria routine quotidiana: disconnettersi dalla rete per qualche ora, impostare la modalità silenziosa in alcune fasce della giornata, abituarsi a non utilizzare lo smartphone almeno un’ora prima di andare a dormire, settare il telefono in modo da ricevere notifiche selezionate e in generale adottare con consapevolezza strategie per ridurre la pervasività del web può essere una buona prassi per alleggerire la mente.