24/03/2022

Autosabotaggio: come smettere di darsi sempre la zappa sui piedi

Veronica Colella Pubblicato il 24/03/2022 Aggiornato il 24/03/2022

La tendenza a sabotarsi da soli fa sì che tutto resti com’è. Un meccanismo di autodifesa che protegge dal fallimento sacrificando però le proprie aspirazioni

Woman looking thoughtful in a modern office

In un certo senso, l’autosabotaggio somiglia allo stratagemma di Penelope. Il mito racconta che la moglie di Ulisse si ritrovò sulla porta un centinaio di pretendenti, tutti ansiosi di dare il Re per disperso e sposarne la vedova. Per tenerli a bada la regina dichiarò che avrebbe scelto un nuovo marito, ma solo una volta finito di tessere il lenzuolo funebre per l’amato suocero. E con questa scusa fece passare quattro anni, tessendo la sua tela di giorno e disfacendola ogni notte.

Un trucco familiare a chi si sente in conflitto tra la voglia di cambiare e la paura di fallire, finendo inconsciamente per sabotarsi da solo.

Meglio non cambiare

C’è chi rinuncia in partenza a seguire sogni e aspirazioni, passando in rassegna tutti i motivi per cui è meglio non osare troppo e non rischiare di essere delusi. Altri invece si perdono d’animo strada facendo, trovando il modo di mettersi i bastoni tra le ruote anche quando sono a un passo dall’ottenere qualcosa per cui si sono impegnati tanto.

Gli autosabotatori hanno in comune il desiderio inconscio di proteggersi dall’ignoto, dalla possibilità di non farcela o da quella di scoprire che in fondo stavano meglio prima. E poi c’è il peso delle aspettative familiari e sociali, il timore della disapprovazione e dei musi lunghi. Tutti fattori che possono risvegliare la Penelope interiore e portarci a disfare tutto pur di rimandare ogni cambiamento.

Gli errori più frequenti

Non tutti i sabotatori usano le stesse tecniche. La neuropsicologa americana Judy Ho, autrice del manuale di auto-aiuto Stop self-sabotaging (Barnes & Noble) e del podcast Supercharged Life, identifica alcuni dei principali meccanismi che innescano la tendenza a sabotare i propri sforzi.

  1. Generalizzare troppo e diventare catastrofisti. È il vizio chi salta subito alle conclusioni, utilizzando un singolo elemento per fare previsioni di sventura. Ogni sassolino diventa una montagna, ogni contrattempo il chiaro segno che tutto andrà di male in peggio.
  2. Legarsi troppo ai “dovrei”. Lo fanno gli insicuri e i perfezionisti, ovvero tutti coloro che pensano di dover aderire strettamente alle regole e finiscono per legarsi le mani da soli.
  3. Pensare in bianco-e-nero. Lo fa chi rifugge dall’ambiguità, perdendosi continuamente in mezzo a liste di pro e contro o appiattendo ogni scelta tra due estremi.
  4. Credere di poter leggere la mente. A dare per scontate le risposte si finisce per dimenticare di chiedere, ma non sempre siamo in grado di indovinare pensieri e sentimenti degli altri.
  5. Sminuire i propri pregi. Lo fa chi non sa accettare i complimenti, o insiste nel non prendersi mai il merito dei propri successi. E così si perde la fiducia nelle proprie capacità.
  6. Fare continui confronti. È il vizio di chi tende a dimenticare che ognuno ha il suo percorso, facendo paragoni sbilanciati sia con chi sta meglio che con chi sta peggio. I primi diventano modelli irraggiungibili, i secondi la prova che l’universo cospira contro gli innocenti.

Il potere dell’energia negativa

Quando si tratta di crescita personale, pensare positivo non è sempre la risposta. A volte faremmo meglio a dare ascolto alle nostre emozioni negative, o almeno così sostiene la poetessa e scrittrice Brianna Wiest in The Mountain is You (Thought Catalog). Uno dei metodi che propone nel suo manuale per autosabotatori cronici è di utilizzarle come chiavi di lettura per uscire dalle impasse.

Per esempio, la rabbia ci permette di identificare le ingiustizie e di capire quali sono i nostri limiti. Ascoltare la rabbia significa riconoscere l’esigenza di un cambiamento nella nostra vita o nel mondo che ci circonda, un passo necessario per trasformarla in grinta. Persino quell’imbarazzo paralizzante che fa venire voglia di nascondersi ha una sua utilità. È la dimostrazione pratica che nessuno ci giudicherà mai con la brutalità che riserviamo a noi stessi, una consapevolezza che può aiutare chi fatica a mettersi alla prova per paura di esporsi.