16/09/2020

La trombosi

È una condizione seria, che può causare invalidità e morte. Eppure, spesso è sottovalutata. Del resto, solo poche persone conoscono la trombosi e sanno riconoscere i sintomi. Ecco allora di che cosa si tratta.

Che cosa è

Per trombosi si intende una rottura dell’equilibrio del sangue, che coagula in un punto e in un momento in cui non dovrebbe farlo.

Normalmente, il sangue è liquido, ma quando viene a contatto con l’aria o con le sostanze liberate da un tessuto infiammato o leso, si ferma o rallenta la propria corsa e forma un coagulo: una piccola quantità di sangue che da liquida diventa gelatinosa e poi crostosa.
Il coagulo di per sé si forma per una buona intenzione: per arrestare un’emorragia, guarire una ferita o un tessuto infiammato o malato. Tuttavia, se si forma quando non è necessario, si trasforma in un nemico, e prende il nome di  “trombo”, che blocca o rallenta la circolazione del sangue.

Quando compare embolia

Una volta che si sono formati, i trombi possono seguire tre strade:
– si sciolgono da soli. È un’eventualità che succede soprattutto con i coaguli di scarse dimensioni che interessano vasi piccoli;
– si estendono, ostruendo completamente il vaso e compromettendo la corretta circolazione e l’arrivo dell’ossigeno e del nutrimento alle cellule;
– si frammentano liberando emboli che, attraverso la circolazione sanguigna, arrivano fino a organi lontani, come cuore, polmoni, cervello. Si tratta di un evento pericoloso perché può causare conseguenze molto serie, come infarto, ictus o embolia polmonare.

Le cause

Il delicato equilibrio fra fluidità e densità del sangue è mantenuto grazie a un complesso meccanismo, regolato da fattori procoagulanti e da fattori anticoagulanti: i primi fanno coagulare il sangue rendendolo più denso, i secondi regolano il processo della coagulazione affinché, una volta attivato, non si espanda a tutto il sangue che abbiamo in corpo.
La trombosi si verifica quando questo equilibrio viene meno e la coagulazione finisce con il prevalere, formando coaguli inopportuni, i trombi.

I fattori di rischio

Ciò succede in presenza di determinati fattori di rischio, che non di rado sono presenti in associazione. Ecco i più comuni:
– cattive abitudini di vita, come il fumo di sigaretta, la sedentarietà, l’uso della pillola anticoncezionale, l’esposizione allo stress, l’utilizzo di sostanze stupefacenti, l’alimentazione scorretta, il sovrappeso, la gravidanza, un’ingessatura, l’immobilità per lunghi periodi, un recente intervento chirurgico, soprattutto ortopedico o addominale, un tumore, un lungo viaggio aereo;
– condizioni di salute a rischio, tipo l’ipertensione, un livello eccessivo protratto nel tempo di colesterolo nel sangue, il diabete, malattie infiammatorie, alterazioni delle proteine coinvolte nel processo della coagulazione.
– fattori non modificabili, come l’età, la familiarità o la predisposizione congenita (trombofilia).

La trombofilia

Per trombofilia si intende un’accresciuta tendenza a sviluppare trombosi per un’alterazione, congenita o acquisita, dei fattori che regolano la coagulazione del sangue.
La presenza di una condizione trombofilica deve essere cercata solo quando si verificano trombosi in età non a rischio e, in generale, in assenza di altri fattori di rischio conosciuti per eventi trombotici (vedi sopra).
È importante che l’indicazione a eseguire esami per scoprire la trombofilia e la scelta dei test appropriati debba essere fatta dall’ematologo. Infatti, alcune alterazioni congenite non hanno alcun significato clinico e non devono essere cercate, in quanto spesso presenti nella popolazione generale sana.
Inoltre, anche la presenza di una predisposizione congenita o acquisita non sempre impone una forma di profilassi antitrombotica. In definitiva, la ricerca della trombofilia è un elemento utile solo se ben indirizzata al momento giusto e nel paziente giusto.

Può colpire sia le arterie sia le vene

I trombi possono formarsi sia nelle arterie sia nelle vene: nel primo caso subentra una sofferenza della parte di organo che normalmente riceve ossigeno e nutrimento da quel vaso perché l’irrorazione non funziona più adeguatamente; nel secondo caso la sofferenza deriva dal fatto che il deflusso di sangue non è più efficace, per cui le cellule colpite non riescono a smaltire anidride carbonica e tossine e non riescono a “depurarsi”.
La trombosi arteriosa

È considerata più temibile perché la mancanza di ossigeno fa morire le cellule rapidamente: se colpisce un’arteria che porta sangue e ossigeno a un organo nobile, come cervello e cuore, infatti, può causare conseguenze molto serie.

Sulla carta può colpire qualunque organo, ma più frequentemente riguarda il cervello (causando l’ictus cerebrale), il cuore (provocando l’infarto del miocardio), il rene (scatenando l’infarto renale), la milza (dando origine all’infarto splenico), l’occhio (portando alla trombosi arteriosa della retina) e le arterie delle gambe (causando l’arteriopatia periferica detta anche “malattia delle vetrine”).
La trombosi venosa

Può comparire in qualsiasi distretto dell’organismo. Se colpisce le vene del circolo superficiale delle braccia o delle gambe viene definita trombosi venosa superficiale (Tvs), comunemente chiamata flebite o tromboflebite, mentre se riguarda le vene profonde del circolo profondo di braccia e gambe è detta trombosi venosa profonda (Tvp).
Se interessa altri organi viene definita con il nome dell’organo colpito: trombosi retinica (della retina), cerebrale, splenica (della milza), renale, intestinale e così via.
La trombosi venosa apparentemente è meno grave di quella arteriosa, anche se può manifestarsi in maniera simile. Per esempio, sia la trombosi venosa retinica sia la trombosi arteriosa retinica si manifestano con un’improvvisa incapacità di vedere una parte più o meno estesa del campo visivo, come se fosse calata la nebbia, ma sempre senza dolore. Tuttavia, se si chiude l’arteria centrale della retina si può arrivare alla cecità permanente, mentre se si chiude la vena della retina la prognosi è più favorevole (solo però se la diagnosi viene fatta rapidamente e viene impostata la cura adeguata).

Più comune negli arti inferiori

La più frequente trombosi venosa è quella che colpisce le vene delle gambe. Essa spesso comincia nelle vene interne del polpaccio o del piede e si estende poi a quelle della coscia fino all’inguine e oltre.

Si manifesta principalmente con gonfiore: il trombo, infatti, provoca un aumento della pressione del sangue alle spalle del punto in cui si è formato, e questo aumento della pressione provoca la fuoriuscita di liquido che si manifesta appunto con il gonfiore.

La parte colpita può anche arrossarsi e diventare calda e dolente. La persona, inoltre, avverte la sensazione di un crampo che non passa. In caso di flebite o trombosi di una vena superficiale compare spesso un cordone rosso duro e dolente, lungo il decorso di una vena.

Le cure

Nella maggior parte dei casi, per curare la trombosi si ricorre ai farmaci antitrombotici, che possono essere di due tipi:

– anticoagulanti, che riducono l’azione dei procoagulanti naturali, per cui diminuiscono la capacità del sangue di coagulare e lo rendono più “fluido”. Di solito vengono utilizzati per prevenire e/o curare le trombosi venose, ma possono essere efficaci anche nelle trombosi arteriose;

– antiaggreganti, che agiscono sulle piastrine e sono utili e necessari per prevenire e curare le trombosi arteriose.
Salvo rare eccezioni, anticoagulanti e antiaggreganti non vengono prescritti insieme. Oggi, in commercio, si trovano molti farmaci: spetta al medico decidere quale impiegare per il singolo caso.

Per le situazioni di emergenza

In presenza di una trombosi venosa profonda è necessario intervenire rapidamente, per bloccare l’ingrossamento del trombo e l’eventuale embolo.

Per prima cosa si ricorre a una terapia anticoagulante somministrata sottocute o endovena, in grado di bloccare immediatamente l’attività del coagulo di sangue. Nella maggior parte dei casi si somministra eparina a basso peso molecolare sottocute, che agisce nel giro di poche ore, scongiurando il peggio. In genere, questa cura va continuata per almeno cinque giorni.

La cura immediata si associa a una che poi proseguirà a lungo termine, orale, che consiste nell’uso degli antagonisti della vitamina K. Si tratta di medicinali che inibiscono la sintesi di alcune proteine responsabili della coagulazione del sangue, che necessitano proprio della vitamina K per essere prodotte. Questi farmaci richiedono il monitoraggio della coagulazione per definire la dose ottimale, che può variare nel tempo.

Da qualche tempo sono disponibili nuove cure per questa malattia. Si tratta degli anticoagulanti diretti del FIIa o del FXa; queste molecole agiscono direttamente sul fattore della coagulazione, bloccandolo. Rispetto ai farmaci tradizionali, gli inibitori diretti della coagulazione non hanno bisogno di monitoraggio della coagulazione per stabilire la dose ottimale, hanno rapido meccanismo d’azione e l’effetto cessa rapidamente alla sospensione del farmaco. I farmaci sono assimilabili per bocca (compresse) e sono utilizzati, normalmente, come unica cura senza essere preceduti dall’uso dell’eparina. Possono essere utilizzati sia nella fase acuta sia in quella cronica delle malattie tromboemboliche venose o nella prevenzione dell’ictus nei pazienti affetti da fibrillazione atriale.

L’importanza dello stile di vita

Ovviamente, nel caso in cui la trombosi abbia già causato danni, la cura può essere integrata con farmaci o interventi specifici per la ripresa della funzione dell’organo colpito. Per esempio, in caso di infarto può essere necessaria un’angioplastica.
In tutti i casi, poi, è essenziale modificare il proprio stile di vita. Se ciò è importante a livello preventivo, diventa praticamente obbligatorio a livello curativo, per evitare nuovi episodi.

Questo significa che bisogna smettere di fumare o quantomeno ridurre il numero di sigarette fumate, non ingrassare o ridurre un eventuale sovrappeso, svolgere una costante e sufficiente attività fisica, sorvegliare i valori di pressione, colesterolo, trigliceridi, glicemia e diabete.

Riconoscere le spie del problema

È importante fare attenzione a eventuali campanelli di allarme, come gonfiore e dolore a una gamba; improvvisi problemi alla vista; dolore all’addome; bruciore al petto; febbre; sangue nelle urine; perdita di equilibrio; vertigini; paralisi di una parte del corpo.

È importante non trascurare nemmeno segnali che sembrano banali o che scompaiono nel giro di pochi minuti e riferirli al medico.

* Per questo gli esperti insistono sulla necessità di imparare a conoscere il proprio corpo cosi da individuare subito se c’è qualcosa che non va.
* È  poi, importante conoscere i propri fattori di rischio e la storia della propria famiglia, in modo da sapere se si ha un rischio maggiore di trombosi. In un caso su tre, trombosi venosa e arteriosa, embolia e anche infarto e ictus possono essere prevenuti grazie anche alla giusta informazione a alla consapevolezza personale.

Anche nei giovani

È vero che la trombosi è più comune dopo una certa età. Tuttavia, non risparmia nemmeno le persone più giovani. Secondo i dati ufficiali, su 100 persone colpite, 3 hanno meno di 40 anni. Addirittura, ogni anno in Italia 15mila bambini vanno incontro a un evento trombotico. Le cause più comuni? L’utilizzo di sostanze stupefacenti, lo stress, le malformazioni congenite non note, le mutazioni genetiche o acquisite dei fattori della coagulazione, le alterazioni ormonali, i tumori, la chemioterapia, i cateteri venosi centrali, lo sbilanciamento del sistema dell’emostasi (sistema preposto a impedire la perdita di sangue dai vasi) in senso procoagulante. Tuttavia, occorre tener presente che uno solo di questi fattori può non essere sufficiente a scatenare una trombosi: più fattori sono presenti contemporaneamente più cresce la probabilità di una trombosi.