18/09/2020

Risonanza magnetica nucleare (RMN)

La risonanza magnetica nucleare (RMN o RM) si avvale dell’impiego di campi magnetici, del tutto innocui, per offrire immagini molto dettagliate delle parti del corpo su cui si intende indagare e, all’occorrenza, di tutto il corpo.
Il grande vantaggio rispetto ad altre indagini diagnostiche, come per esempio la TC (ex Tac), è che non espone la persona a radiazioni, potenzialmente nocive per la salute. 
Durante la risonanza, il paziente è posizionato su un lettino all’interno di un grosso magnete (con un campo magnetico fino a 15mila volte superiore a quello terrestre) cosicché particolari particelle presenti nell’organismo, dette protoni, acquistino energia e si orientino secondo l’andamento del campo magnetico.
Nel momento in cui il campo magnetico è disattivato, i protoni tornano al loro orientamento naturale e cedono l’energia accumulata, emettendo un segnale. La registrazione di questo segnale e la sua codificazione permettono di ottenere le immagini di risonanza magnetica.
In alcuni casi è usato anche un mezzo di contrasto, il gadolinio, che si distribuisce negli organi e nei vasi sanguigni alterandone le proprietà molecolari e quindi influenzando il segnale che ne deriva e, di conseguenza, l’immagine finale. Questo serve ad accentuare la differenza tra i tessuti e la loro vascolarizzazione (distribuzione dei vasi sanguigni).

A cosa serve

Permette di diagnosticare numerose malattie o di accertare eventuali danni subiti dagli organi grazie all’osservazione diretta di qualunque zona del corpo, inclusi non solo i cosiddetti “tessuti duri” (ossa e cartilagini), ma anche i cosiddetti “tessuti molli” (nervi, muscoli, legamenti, mucose, vasi sanguigni).
Di norma, indaga su caviglia, cervello, cuore, dischi intervertebrali (colonna vertebrale), ginocchio, mammella, mano, midollo spinale, spalle.
È usata praticamente in ogni ambito della medicina, compresa l’oncologia, dove vi si ricorre sia per valutare se un trattamento (per esempio, la chemioterapia) sta funzionando, sia per indentificare lo stadio in cui si trova il tumore, ovvero per avere informazioni sulla sua evoluzione e gravità.

Chi non può farla

L’indagine non può essere effettuata sui portatori di pacemaker cardiaco o di neurostimolatori, in quanto le onde prodotte dalla macchina potrebbero interferire sul loro funzionamento.

Negli ultimi anni si è fatto sempre più spesso ricorso a pacemaker cardiaci compatibili con il campo magnetico. Anche in questo caso, per eseguire l’esame è necessario fornire una documentazione che ne attesti la compatibilità. L’esame nei portatori di pacemaker compatibile è effettuato dopo aver spento il dispositivo e sotto stretto controllo del cardiologo. 
Fino a poco tempo fa la risonanza magnetica era, inoltre, controindicata nei portatori di protesi ortopediche (per esempio, del collo del femore) e in chi aveva subito l’intervento di sostituzione del cristallino o di una valvola cardiaca: da qualche anno a questa parte sono stati impiegati dispositivi, comprese le protesi, tutti compatibili con la risonanza magnetica, tuttavia questa loro caratteristica deve essere certificata prima dell’esecuzione dell’esame.
Anche i tatuaggi possono costituire una controindicazione all’esame, perché possono essere stati realizzati con pigmenti che contengono metallo: in questa eventualità la pelle potrebbe essere danneggiata dal campo magnetico. È comunque il medico a valutare, in base alla dimensione del tatuaggio, alla data in cui è stato realizzato, alla parte del corpo in cui è stato fatto,  alla pigmentazione utilizzata (che deve essere riportata su una certificazione, insieme con la data di esecuzione) se ricorrere all’esame oppure no.
Le donne a cui è stato applicato il dispositivo intrauterino (Iud o spirale) devono sottoporsi, dopo l’esame, a un controllo ginecologico volto a verificare che la spirale non si sia spostata, eventualità che apre la strada al rischio di gravidanze indesiderate.
Anche le protesi dentali fisse costituiscono una controindicazione, se la RM deve essere effettuata alla testa o in tutto il corpo, a meno che i perni non siano realizzati in materiali che campi e onde elettromagnetici non alterano, eventualità che va specificamente richiesta al dentista che ha eseguito il lavoro.
Per quanto riguarda la gravidanza, anche se si ritiene che l’esame non provochi danno al bambino, è considerato prudente evitarlo nel primo trimestre (fino a 13 settimane), a meno che non sia davvero indispensabile: spetta comunque al medico decidere caso per caso. 
Per finire, chiunque svolga (o abbia svolto) lavori che espongono al rischio di ingresso di schegge di metallo nel corpo (per esempio, saldatori, carpentieri, verniciatori) deve comunicarlo all’operatore che esegue l’indagine, perché eventuali corpi estranei potrebbero spostarsi raggiungendo organi vitali e, quindi, esponendo a un pericolo.

Come si svolge

Il paziente può essere invitato a spogliarsi, a esclusione della biancheria intima (salvo il caso in cui siano provvisti di accessori metallici) e a indossare un camice fornito dalla struttura sanitaria.
Indosserà una cuffia che lo isolerà dal rumore prodotto dalla macchina, per poi sdraiarsi  su un lettino scorrevole che, per l’esecuzione dell’esame, si sposterà lentamente all’interno dell’apparecchiatura.
Quest’ultima è una sorta di grosso tunnel lungo circa due metri e largo circa mezzo metro in cui sarà fatto entrare tutto il lettino. Alcuni centri dispongono anche di apparecchiature aperte, che risparmiano il disagio di trovarsi con tutto il corpo, testa compresa, all’interno di uno spazio chiuso e ristretto.
L’eventuale mezzo di contrasto (gadolinio) è iniettato con una siringa nella vena del braccio. Durante l’esame si deve restare immobili. È possibile che prima di cominciare sia somministrato un sedativo per bocca (qualche goccia di una benzodiazepina): se non è proposto e ci si sente agitati e ansiosi lo si può richiedere.

Quanto dura

La durata dell’indagine è in relazione con l’estensione della zona del corpo da esplorare e con ciò che si intende studiare. Mediamente si protrae per 25-30 minuti, ma in qualche caso anche per 40-45 minuti.
Prima di iniziare si può chiedere tranquillamente quanto tempo ci vorrà. Nel caso in cui non si riesca a stare immobili per tutta la durata, si può chiedere di fare qualche breve intervallo per sgranchirsi le gambe, almeno a metà dell’esame. 
Per tutta la durata dell’indagine, si è tenuti sotto stretto controllo dal personale tecnico e medico, con cui si può parlare attraverso un interfono sempre acceso.

Provoca fastidio?

Il fastidio prodotto dall’esame è legato alla necessità di stare immobili all’interno dell’apparecchiatura che comunque, anche se è chiusa, possiede un sistema di ventilazione che limita il disagio. Può accadere di avvertire una sensazione di calore in qualche zona del corpo: non ci si deve preoccupare.

Come prepararsi

Non ci sono particolari accorgimenti da adottare prima dell’esame.
Se è previsto l’impiego di un mezzo di contrasto, le donne che allattano devono raccogliere il loro latte prima di effettuare l’esame, per poi somministrarlo con il biberon nelle successive 24 ore. Il giorno dell’esame il latte va comunque prelevato, per non interferire sulla sua produzione né andare incontro a ingorghi, ma naturalmente va buttato. Non occorre prendere alcuna precauzione se invece non si usa mezzo di contrasto.
Si può fare colazione, anche se non conviene esagerare, ma preferire un tè leggero con qualche fetta biscottata, per scongiurare il rischio di avere nausea durante lo svolgimento dell’esame. È bene non truccarsi e recarsi in ospedale senza gioielli addosso.

Cosa fare dopo

Terminato l’esame si può tornare a casa, anche guidando l’auto. Non occorre stare a riposo, né seguire particolari accorgimenti per quanto riguarda l’alimentazione, ma si possono riprendere tutte le normali attività.