18/09/2020

PET (Tomografia a emissione di positroni)

La PET (sigla che sta per Tomografia a emissione di positroni) è una tecnica diagnostica di medicina nucleare (cioè che impiega sostanze radioattive) che prevede la somministrazione per via endovenosa di una certa quantità di radiofarmaci: si tratta di sostanze normalmente presenti nell’organismo (per esempio, glucosio) marcate con molecole radioattive.
Una volta entrati nell’organismo, i radiofarmaci emettono particolari particelle, i positroni, che vengono captate dall’apparecchiatura e trasformate in una sorta di tracciato. L’apparecchiatura PET, detta tomografo, valuta in che modo si distribuiscono queste sostanze “traccianti” ricavando varie informazioni.
Rispetto a esami come ecografia, risonanza magnetica e Tc (ex Tac), che mettono in evidenza solo le strutture degli organi, consente di avere informazioni relative alla funzionalità dei vari organi o di tutto il corpo.

A cosa serve

La PET viene prescritta principalmente per individuare se e dove si è sviluppato un tumore e se si è sviluppato in sedi diverse da quelle già note.

Serve anche per comprendere se la cura contro un tumore ha funzionato. I radiofarmaci si accumulano, infatti, a livello del tumore: se non c’è (più) accumulo nella zona dove questo si era sviluppato significa che è regredito.

Chi non può farla

È vietata alle donne in gravidanza. Se il concepimento avviene poco dopo l’esecuzione oppure era già avvenuto da qualche settimana (ma ancora la donna lo ignorava) non ci sono problemi per il feto: in questo caso vale la legge “del tutto o del nulla”, secondo cui nelle primissime fasi della gravidanza un agente esterno pericoloso per il bambino o provoca l’aborto (il tutto) o non produce alcun danno (il nulla).
Le donne in allattamento devono raccogliere il latte prima dell’esame e conservarlo in freezer. L’allattamento va sospeso per un numero di giorni che deve essere indicato dal medico che esegue l’esame e che varia a seconda del tipo di radiofarmaco impiegato.
Nei giorni della sospensione, il latte va estratto e buttato (bisogna, comunque, continuare a prelevarlo a intervalli regolari perché diversamente si rischia di arrestarne la produzione). 

Come si svolge

Per prima cosa viene somministrato il radiofarmaco con una siringa in una vena dell’avambraccio. Dopodiché si deve aspettare che entri in circolazione e formi il tracciato: il periodo di attesa si trascorre in una stanzetta del reparto di medicina nucleare e può andare da una decina di minuti fino a un’ora, perché dipende dal tipo di radiofarmaco impiegato.

La persona viene poi fatta sdraiare su un lettino speciale, che scorre all’interno del macchinario costituito da un grosso anello profondo circa mezzo metro (lo stesso della TC): la macchina registra le radiazioni emesse dal radiofarmaco e le traduce in immagini che il medico interpreta.

Quanto dura

L’esame in sé si protrae per un tempo che varia, in base alla zona del corpo da esaminare, da 20 a 30 minuti. In realtà però per l’esecuzione dell’intera procedura occorrono circa tre ore. 

Provoca fastidio?

Effettuare la PET non determina alcun fastidio, se si esclude quello legato all’iniezione.

Come prepararsi

Conviene non andare a fare l’esame con bracciali, collane, anelli in quanto vanno tolti tutti. Quasi sempre viene richiesto di essere a digiuno, da almeno otto ore.

Può essere necessario sospendere l’assunzione dei farmaci che si stanno prendendo: tutte le indicazioni in merito vengono date al momento della prenotazione.

Cosa fare dopo

Subito dopo l’esame si può guidare e si possono riprendere le normali attività. Viene consigliato di bere abbondantemente, per facilitare l’eliminazione del radiofarmaco. Come precauzione, anche se la quantità di radioattività che l’organismo immette è minima, è bene stare lontani da donne incinte e bambini per le 10 ore successive all’esame.