16/10/2017

I fattori di rischio

La salute del cuore e dell’intero apparato cardiocircolatorio è direttamente influenzata, oltre che dallo stile di vita, anche dai valori della pressione, del colesterolo e della glicemia, e dalla presenza di sindrome metabolica e arteriosclerosi. Ecco perché.

L’ipertensione

La pressione è la forza esercitata dal sangue sulle pareti dei vasi sanguigni mentre scorre al loro interno. È direttamente correlata a tre fattori:

la forza e il ritmo con cui il cuore si contrae spingendo
il sangue nei vasi sanguigni,

la quantità di sangue in circolo e la sua viscosità,

la resistenza a questo flusso opposta dalle pareti dei vasi stessi.

In relazione ai movimenti compiuti dal cuore per pompare il sangue nei vasi, si distingue fra pressione massima o sistolica e minima o diastolica.

La prima è la forza esercitata dal sangue durante la fase di contrazione e di spinta del cuore. La minima, invece, è la pressione presente tra una contrazione e l’altra.

Alcune lievi oscillazioni della pressione nell’arco della giornata e in determinate occasioni sono normali. Non è normale, invece, che i valori siano costantemente elevati, in linea di massima sopra i 140 millimetri di mercurio (mmHg) per la massima e i 90 mmHg per la minima. In questo caso si parla di ipertensione.

Le conseguenze

Quanto più la pressione del sangue è alta tanto più le pareti dei vasi sanguigni si deteriorano a causa della forte spinta esercitata dal sangue, perdendo elasticità. Questo favorisce anche l’accumulo di colesterolo negli strati più interni, che si ispessiscono fino a ostruire il lume del vaso e a ostacolare la circolazione.

Di conseguenza, il sangue scorre con fatica nell’organismo. Alla lunga possono comparire malattie a carico dei vasi sanguigni, del cuore, del cervello, dei reni e degli occhi.

Il colesterolo alto

Il colesterolo è un tipo di grasso presente nel sangue e in tutto il corpo. Viene prodotto per la maggior parte dall’organismo e solo in piccola parte arriva già formato dagli alimenti.

Esso circola nel sangue grazie a specifiche particelle di trasporto, le lipoproteine. Le più note sono le Ldl o lipoproteine a bassa densità e le Hdl o lipoproteine ad alta densità.

Le Ldl (o colesterolo Ldl) rappresentano il cosiddetto “colesterolo cattivo”: se in eccesso, tendono ad accumularsi nelle pareti dei vasi arteriosi, formando ispessimenti e placche e ostacolano la circolazione sanguigna.

Al contrario, le lipoproteine ad alta densità, le Hdl (o colesterolo Hdl) rappresentano il “colesterolo buono”: infatti, hanno il compito di trasportare il colesterolo Ldl in eccesso dai vari organi e tessuti al fegato, dove viene eliminato.

In piccole dosi, il colesterolo svolge una serie di azioni benefiche, per esempio partecipa alla produzione di importanti ormoni e interviene nei processi di riparazione cellulare.

Le conseguenze

Se il colesterolo in circolo supera determinate soglie (ipercolesterolemia) diventa nocivo. Infatti, in questo caso contribuisce alla comparsa dell’aterosclerosi. Ecco perché l’ipercolesterolemia, ossia l’eccesso di colesterolo, è considerata un fattore di rischio per le malattie cardiocircolatorie. Ma quali sono i valori ideali?

Per quanto riguarda il colesterolo totale vengono considerati al limite valori superiori a 190 mg/dl (milligrammi per decilitro di sangue), mentre livelli superiori ai 250 mg/dl sono ritenuti molto elevati.

Il livello normale di Ldl nel sangue dovrebbe essere inferiore ai 160 mg/dl nelle persone sane e almeno sotto i 130 mg/dl in quelle con altri fattori di rischio cardiovascolare.

Per quanto riguarda il colesterolo Hdl, gli esperti ritengono che la cosa migliore sarebbe avere valori non inferiori a 45 mg/dl negli uomini e a 50 mg/dl nelle donne.

Troppi trigliceridi

Anche i trigliceridi appartengono alla famiglia dei grassi. A differenza del colesterolo, provengono soprattutto dalla dieta. Solo una minima parte è sintetizzata dall’organismo.

In ogni caso, si accumulano nel tessuto adiposo oppure vengono usati dai muscoli come fonte di energia. Una quota di trigliceridi è presente anche nel sangue, sotto forma di palline di grasso e proteine.

Le conseguenze

Un alto livello di trigliceridi (ipertrigliceridemia) nel sangue facilita la comparsa di processi infiammatori (che peggiorano la salute cardiovascolare), di malattie cardiovascolari e del diabete.

L’ideale, secondo gli esperti, sarebbe avere un livello inferiore a 150 mg/dl. Valori compresi fra 150 mg/dl e 500 mg/dl sono considerati moderatamente elevati. Oltre i 500 mg/dl, il valore è molto elevato e sicuramente pericoloso per la salute.

L’aterosclerosi

L’aterosclerosi è la forma più seria di arteriosclerosi, una malattia caratterizzata da un indurimento e ispessimento delle pareti delle arterie. Interessa i grandi e medi vasi (come l’aorta, le vene polmonari e le coronarie) ed è caratterizzata dalla formazione di una placca al loro interno, detta ateroma e formata essenzialmente da grasso (perlopiù colesterolo Ldl) e tessuto cicatriziale.

Le conseguenze

A lungo andare, se non si interviene, l’aterosclerosi causa una riduzione del flusso sanguigno all’interno delle arterie. Di conseguenza, organi e tessuti irrorati dai vasi colpiti ricevono una quantità inferiore di ossigeno e nutrimento.

Inoltre, occorre tenere presente che in caso di rottura della placca ateromasica si possono staccare dei frammenti responsabili di embolie (ostruzioni di un vaso a causa di un ostacolo proveniente da altre parti del corpo) più o meno severe.

La malattia, in genere, non dà segni di sé, se non nelle fasi più avanzate. In queste situazioni, a seconda del distretto interessato, possono comparire diverse problematiche.

La più comune è quella a carico delle arterie coronarie, che irrorano il cuore, alimentandolo e ossigenandolo. In molti casi il risultato di tale ostruzione è l’infarto.

Il diabete

Si tratta di una condizione caratterizzata da alcune alterazioni del metabolismo, che causa iperglicemia, cioè un aumento della glicemia (valori del glucosio, zucchero, nel sangue).

In caso di malattia, infatti, gli zuccheri, ma anche i grassi introdotti attraverso l’alimentazione non vengono trasformati e smaltiti nel modo corretto.

Alla base c’è un difetto nella secrezione o nella risposta delle cellule bersaglio all’insulina. L’insulina è una sostanza secreta dalle cellule beta del pancreas, che permette agli zuccheri provenienti dai cibi di entrare nelle cellule per nutrirle oppure, se sono in eccesso, di arrivare ai muscoli per essere “bruciati” come “carburante” e al fegato, dove vengono trasformati in glicogeno, una riserva energetica.

In caso di diabete l’insulina manca, scarseggia oppure non riesce a comunicare con il resto dell’organismo. Di conseguenza, gli zuccheri non riescono a raggiungere le cellule, il fegato o i muscoli e finiscono con l’accumularsi nel sangue.

In condizioni normali, i livelli di glicemia si attestano sotto la soglia dei 100 milligrammi per decilitro di sangue (mg/dl). Si può parlare, invece, di diabete vero e proprio quando il livello di glicemia a digiuno, controllato più volte, è superiore a 126 milligrammi per decilitro di sangue.

Le conseguenze

Le persone con diabete presentano un rischio complessivo di malattia cardiovascolare più che raddoppiato. I vasi principali, infatti, a causa dell’elevato tasso zuccherino, possono ostruirsi.

Con il passare del tempo, le pareti arteriose vanno incontro a progressivo irrigidimento e le cellule che le rivestono internamente si danneggiano.

Questi fenomeni favoriscono l’accumulo di grasso nelle arterie, la formazione di placche di aterosclerosi sulle loro pareti e la riduzione del flusso sanguigno diretto al cuore.

Il pericolo aumenta ulteriormente se sono presenti altri fattori di rischio cardiovascolare, come ipertensione arteriosa, fumo di sigaretta, colesterolo alto e obesità.

L’obesità

Per obesità si intende l’accumulo di tessuto adiposo nel corpo. Si tratta di un tessuto composto prevalentemente da adipociti (cellule grasse), da poca acqua, da collagene (proteina del tessuto connettivo) e da glicogeno (riserva energetica).

Se presente in quantità limitate, il tessuto adiposo costituisce una riserva fondamentale per le esigenze energetiche dell’organismo in situazioni di emergenza. Esso diventa minaccioso per la salute solo se aumenta troppo.

Ciò succede quando si introduce più energia di quanta se ne consumi: in questi casi, infatti, le calorie e i grassi non vengono smaltiti e si accumulano nel tessuto adiposo.

Per stabilire se una persona ha un eccesso di tessuto adiposo ed è normopeso, sovrappeso o obesa si prendono in considerazione vari parametri.

Il più importante è l’indice di massa corporea (Bmi), un calcolo matematico in grado di catalogare una persona come normopeso, sovrappeso o obesa. Si ottiene dividendo il peso espresso in chilogrammi per il quadrato dell’altezza espressa in metri. Si parla di sovrappeso quando il Bmi di una persona è uguale o superiore a 27, di obesità quando è uguale o superiore a 30 (da 40 in poi l’obesità è molto seria, definita obesità grave).

Le conseguenze

L’eccesso di peso è considerato un nemico dell’apparato cardiocircolatorio per una serie di ragioni:

altera la struttura e le funzioni cardiache, provocando invecchiamento precoce del cuore, ingrossamento, insufficienza, scompenso;

affatica il cuore, che deve spingere il sangue in un maggior numero di vasi sanguigni e sopportare un peso elevato;

provoca uno stato di infiammazione generale e un aumento del rischio di trombosi e di accumulo di placche nelle arterie;

causa squilibri metabolici ed emodinamici che hanno ripercussioni negative sulla salute cardiocircolatoria;

si associa agli altri fattori di rischio cardiovascolare;

ha un legame con l’incremento delle concentrazioni plasmatiche
e dell’attività biologica dell’inibitore dell’attivatore

del plasminogeno (Pai), di cui è nota l’associazione con un maggior rischio di infarto del miocardio.

L’insulinoresistenza

Si parla di insulinoresistenza quando le cellule dell’organismo presentano una scarsa sensibilità all’azione dell’insulina. Di conseguenza, lo zucchero non riesce a essere assorbito dalle stesse e ristagna nel sangue.

Le conseguenze

L’insulinoresistenza si associa alle principali condizioni di rischio cardiovascolare (come diabete, sindrome metabolica, obesità). Inoltre, è un fattore di rischio cardiovascolare indipendente.

L’insulina, infatti, modula la risposta delle arterie a varie sostanze, come l’ossido nitrico, che ne determinano il rilascio o il restringimento; contribuisce all’elasticità dei vasi; rende i vasi meno permeabili a fattori ossidanti e ad attacchi batterici.

Se l’organismo diventa resistente all’insulina, vengono meno tutti questi fattori protettivi nei confronti dei vasi arteriosi.

La sindrome metabolica

La persona viene considerata affetta da sindrome metabolica quando presenta contemporaneamente tre o più dei seguenti fattori:

aumento della circonferenza della vita come indice di obesità localizzata all’addome. Sono considerati patologici valori superiori a 102 cm negli uomini e a 88 cm nelle donne;

aumento dei trigliceridi con valori ≥150 mg/dl;

riduzione del colesterolo Hdl, il cosiddetto colesterolo “buono”
(<40 mg/dl negli uomini e <50 mg/dl nelle donne);

valori di glicemia a digiuno uguali o superiori a 100 mg/dl;

ipertensione con valori di pressione arteriosa uguali o superiori
a 130/85 mmHg.

Le conseguenze

Questa malattia si associa a un rischio aumentato di malattie serie come diabete e patologie cardiovascolari (infarto, ictus), soprattutto in presenza di familiarità per queste stesse patologie.

In effetti, i fattori che caratterizzano la sindrome metabolica nuocciono all’intero apparato cardiocircolatorio.