14/09/2020

Gli esami necessari

Per quanto sia fondamentale, l’autopalpazione non basta, da sola, per individuare precocemente il tumore. È fondamentale anche effettuare i controlli suggeriti dal ginecologo o dal medico specialista nelle malattie del seno e sottoporsi ai programmi di screening offerti gratuitamente dalle Regioni.

A chi rivolgersi

Le donne giovani, con meno di 40 anni, che sono in salute e non hanno casi di tumore al seno in famiglia, possono limitarsi a eseguire l’autopalpazione mensile e a sottoporsi alle visite periodiche dal medico ginecologo e dal medico di famiglia.
Saranno questi ultimi che, nei casi sospetti, prescriveranno loro delle indagini di approfondimento (essenzialmente ecografia) e le indirizzeranno dallo specialista.
Se la donna, nel corso dell’autopalpazione, nota segnali sospetti è bene che chieda un consulto in prima battuta al suo ginecologo e al suo medico di base e poi si rivolga al senologo.

Attualmente non esiste una scuola di specializzazione in “senologia”, ma comunemente con il termine senologo si indica il medico, solitamente oncologo, che si occupa delle malattie che riguardano la mammella. 

La visita specialistica

Dopo i 40 anni è consigliabile sottoporsi a una visita specialistica annuale o con la frequenza consigliata dallo specialista stesso a seconda dei casi.
Per prima cosa, il senologo procede con l’anamnesi, ossia un colloquio approfondito con la donna per conoscere la sua storia clinica personale e la storia clinica della sua famiglia e per conoscere eventuali sintomi. A questo punto si dedicherà all’osservazione e alla palpazione del seno, per individuare eventuali alterazioni da approfondire.

LA MAMMOGRAFIA

A partire dai 40-50 anni è altamente raccomandabile sottoporsi periodicamente a una mammografia, l’unico esame che permette di eseguire un’indagine panoramica sull’intera mammella. Permette di scoprire anche le lesioni più piccole non ancora palpabili, o microcalcificazioni, che possono essere l’espressione di un’iniziale proliferazione di cellule tumorali.
La mammografia viene usata sia come esame di screening sia come esame di approfondimento.

Come si esegue

Si effettua grazie a un’apparecchiatura dedicata, il mammografo, che emette un fascio di raggi X “ottimizzati” per lo studio di quest’area, che restituiscono immagini molto dettagliate, dissociando tessuto adiposo e tessuto ghiandolare e quindi evitando la sovrapposizione di strutture.
Durante l’esame, la mammella viene posizionata su un apposito supporto e compressa grazie a un sistema in plastica a pressione regolabile: in questo modo si riesco a ottenere immagini dettagliate e a ridurre al minimo la dose impiegata (riducendo lo spessore della mammella attraverso la compressione si riduce la dose di radiazione erogata).
Complessivamente l’esame non dura più di 10-15 minuti. Non richiede particolari preparazioni, come digiuno, e non necessita del ricorso al mezzo di contrasto. Non è doloroso, anche se molte donne provano fastidio alla compressione delle mammelle.

Quando farla

In Italia, è attivo un programma di screening per la diagnosi precoce del tumore mammario, rivolto tradizionalmente alle donne di età compresa tra i 50 e i 69 anni: tutte, ogni due anni, ricevono l’invito da parte della Asl di appartenenza per sottoporsi gratuitamente a una mammografia di controllo.
Recentemente, però, alcune regioni, alla luce delle ultime evidenze, hanno ampliato le destinatarie dell’offerta, permettendo a tutte le donne nella fascia d’età 45- 74 anni di sottoporsi allo screening gratuito, con una periodicità annuale nelle donne sotto i 50 anni.
In linea di massima, la cosa migliore è chiedere consiglio al senologo, che consiglierà quando iniziare con i controlli mammografici e ogni quanto effettuarli.

Non indicata prima dei 40 anni

Nelle donne sotto i 40 anni, la mammografia non è in genere indicata perché le mammelle sono molto dense, ossia presentano una netta prevalenza del tessuto ghiandolare rispetto a quello adiposo. Il tessuto ghiandolare, infatti, quando viene attraversato dai raggi X della mammografia, restituisce un’immagine opaca che potrebbe nascondere eventuali lesioni.
Successivamente, invece, la struttura mammaria, modificandosi gradualmente, diventa sempre meno ricca di componente ghiandolare e sempre più ricca di tessuto adiposo.
Ecco perché nella fascia d’età 40-50 anni, si consiglia in genere di eseguire sia ecografia sia mammografia per avere un quadro più dettagliato. Lo stesso in caso di giovani donne con quadri complessi, sintomi sospetti e magari seno molto spesso.

Da sapere

1.     Negli ultimi anni, le apparecchiature per l’esecuzione della mammografia si sono evolute moltissimo. I progressi più significativi sono stati il passaggio dalla mammografia tradizionale  a quella digitale con immagini in 2D e, recentemente, alla mammografia in tomosintesi, con ricostruzione delle immagini in 3D, ossia in tre dimensioni, che consente una visualizzazione ancora più approfondita dell’area in esame.

2.     La mammografia andrebbe sempre abbinata a una visita specialistica: spetta al medico, infatti, interpretare i risultati, anche confrontandoli con eventuali mammografie precedenti.

3.     La mammografia è l’esame di prima scelta non solo per lo screening del tumore al seno, ma anche per approfondire sintomi sospetti in donne con più di 40-50 anni. 

L’ECOGRAFIA

Le giovani donne con rischio di tumore alla mammella, per esempio per famigliarità, possono effettuare la prevenzione secondaria attraverso l’ecografia, che andrebbe eseguita a partire dai 30-35 anni, con una frequenza che dovrà stabilire il medico caso per caso.
Questo esame è indicato anche in presenza di sintomi sospetti in donne sotto i 40-50 anni e come completamento della mammografia nelle donne con più di 40-50 anni, specie se con seni densi o lesioni mammarie con caratteri dubbi. Infatti, aiuta a chiarire la natura di eventuali aree anomale, dando informazioni differenti rispetto alla mammografia. È molto utile anche nelle donne in menopausa perché consente di stabilire in maniera certa la natura di un nodulo. Ovviamente in tutti i casi va abbinata alla visita specialistica.

Come si esegue

Per prima cosa le mammelle vengono spalmate con un sottile strato gel: quindi, si fa scorrere sulla parte un piccolo strumento, simile a un microfono e denominato sonda, che emette ultrasuoni.
Le riflessioni di questo fascio di ultrasuoni tramite un sistema computerizzato vengono convertite in immagini, che vanno intrepretate poi dall’esperto. Il tutto dura circa un quarto d’ora.
Questa indagine deve essere eseguita da medici con esperienza specifica in radiologia senologica.

LA RISONANZA MAGNETICA

L’ultima indagine strumentale che può essere utilizzata a fini preventivi è la risonanza magnetica, indicata per le giovani donne che presentano mutazioni genetiche che predispongono allo sviluppo del tumore della mammella. In questo caso, andrebbe eseguita una volta all’anno a partire dai 30 anni, ma queste sono comunque indicazioni di massima.
Ovviamente, può essere utilizzata anche nell’iter diagnostico del tumore al seno, per chiarire situazioni complesse, studiare la malattia, capire la sua estensione, vedere se ci sono metastasi.
Si tratta di una moderna tecnica diagnostica che fornisce immagini dettagliate del corpo umano, sfruttando campi magnetici e onde radio.

Come si esegue

In pratica, la risonanza produce e invia al corpo della donna, inserito in un grande cilindro magnetico, impulsi a radiofrequenza. Il corpo della paziente emette onde radio “di risposta”, che vengono poi trasformate da un computer nelle immagini anatomiche delle porzioni analizzate. Le sezioni possono essere ottenute indifferentemente in qualsiasi piano dello spazio, creando in tal modo una visione tridimensionale del corpo.

Lo studio delle mammelle richiede sempre l’uso di un mezzo di contrasto (MdC) per via endovenosa, molto tollerabile e a bassissimo coefficiente di rischio allergico. Senza l’utilizzo del liquido di contrasto non è infatti possibile distinguere le aree della mammella malata da quelle sane e i tumori maligni da quelli benigni.

L’AGO ASPIRATO

Se mammografia, ecografia e risonanza magnetica sono indagini sia di screening sia diagnostiche, esistono poi indagini che servono esclusivamente per porre la diagnosi e/o per decidere quali trattamenti effettuare.

Innanzitutto, l’ago aspirato.

Come si esegue

Si tratta di una procedura relativamente semplice e di breve durata che si esegue in ambiente dedicato e con operatori esperti in presenza di un nodulo o di un reperto sospetto che necessita di una valutazione citologica, cioè di una caratterizzazione del tessuto sospetto. Questa tecnica può essere usata anche per drenare una cisti benigna se fortemente sintomatica o con contenuto sospetto.
Attraverso aghi con varie caratteristiche e sistemi di aspirazione, si preleva un campione di cellule dall’area di interesse; il campione viene quindi inviato in laboratorio per l’esame citologico, ossia per determinare la tipologia cellulare e individuare eventuali cellule maligne.

Il prelievo può essere guidato, a seconda del tipo di lesione, dall’ecografia, dalla mammografia o, molto raramente, dalla risonanza magnetica.

Non servono preparazioni particolari e in genere non è necessario ricorrere ad anestesia perché la procedura è ben tollerata.

L’esame citologico può essere eseguito anche sulle secrezioni ematiche emesse dal capezzolo per capire se contengono cellule maligne.

LA MACRO-AGOBIOPSIA

Si tratta di una procedura simile alla precedente. In questo caso si utilizza, però, un ago più grande per prelevare una parte più estesa del nodulo da esaminare. Occorre, quindi, un’anestesia locale, anche perché possono essere necessari più prelievi.
L’esame può risultare un po’ doloroso e lascia degli ematomi che si riassorbono nell’arco di due settimane.

LA BIOPSIA ESCISSIONALE

In questo caso si rimuove l’intero nodulo o l’intera area sospetta con una porzione di tessuti normali circostanti.

Come si esegue

La procedura viene eseguita in sala operatoria o in ambulatorio chirurgico da un chirurgo; può richiedere solo un’anestesia locale (viene addormentata unicamente la zona da operare), talvolta con una sedazione leggera; raramente l’anestesia generale.
In caso di difficoltà di palpazione, prima dell’intervento verrà effettuata una localizzazione con repere metallico (il radiologo, su guida mammografica o ecografica, posiziona un sottile filo metallico nella sede di lesione che l’operatore userà come guida per individuare l’area da asportare).

Il tessuto asportato viene poi analizzato in laboratorio. Questo esame fornisce un significativo numero di informazioni, fra cui dimensioni della lesione, tipo, grado e stato dei recettori ormonali, importantissime per la pianificazione dei trattamenti.

LA SCINTIGRAFIA

Si tratta di un esame di medicina nucleare che viene eseguito dopo la diagnosi di tumore al seno: consente, infatti, di identificare la sede del linfonodo più vicino al tumore della mammella (il linfonodo sentinella), che quindi potrà essere asportato e analizzato.

Come si esegue

Viene eseguito in due tempi. Per prima cosa si inietta una piccola quantità di liquido radioattivo o di colorante vitale nella zona del seno vicino al tumore: esso è in grado di concentrarsi all’interno del linfonodo sentinella e di emettere radiazioni.
Dopo qualche ora (per dare modo al radiofarmaco di migrare nel linfonodo), si passa una sonda radioguidata sopra i linfonodi dell’ascella: la zona di maggiore emissione del segnale radioattivo corrisponde a quella del linfonodo sentinella che, una volta individuato, può essere rimosso (con un intervento successivo).
La rimozione può avvenire anche contestualmente all’intervento di esportazione del tumore: in questo caso, il linfonodo rimosso viene analizzato subito, così da permettere al chirurgo di decidere come procedere. Oppure la rimozione può essere eseguita nei giorni appena precedenti.
Se il linfonodo non contiene cellule tumorali o ne contiene pochissime non c’è la necessità di asportare gli altri linfonodi. Al contrario, se contiene aggregati di cellule tumorali di maggiori dimensioni, è più probabile che anche gli altri linfonodi contengano cellule tumorali, per cui occorre svuotare tutta l’ascella.
La procedura è bene tollerata e non richiede anestesia.

IL LAVAGGIO DEI DOTTI GALATTOFORI

È un esame che consente di prelevare ed esaminare alcune cellule del seno. In questo modo è possibile verificare se sono sane oppure se presentano alterazioni.

Come si esegue

Dal capezzolo viene inserito un catetere a due vie molto sottile in uno dei dotti galattofori (dove è più probabile che si formino tumori della mammella). Tramite una delle due vie viene introdotta una piccola quantità di soluzione fisiologica, che si distribuisce per tutto l’albero dei dotti, lavandoli e asportando delicatamente le cellule più superficiali. Il liquido viene poi aspirato attraverso la seconda via. Le cellule contenute nel liquido vengono esaminate, quindi, al microscopio e classificate secondo una scala che le divide in: sane, infiammate, alterate o maligne.

Il lavaggio dei dotti galattofori può scoprire non solo la presenza di cellule malate, ma anche cellule che non sono tumorali ma potrebbero diveltarlo.

LA PET

La Pet o tomografia a emissione di positroni è un’indagine di medicina nucleare che consente di stabilire se il tumore si è diffuso ai linfonodi e/o ad altre parti del corpo.

Come si esegue

Consiste nell’iniezione in vena di una sostanza costituita da zucchero legata a una piccola quantità di materiale radioattivo (radiofarmaco). Considerato che le cellule tumorali tendono a essere più avide di zucchero radioattivo rispetto alle cellule normali, l’esame consente di evidenziarle in tutto il corpo.

La donna è stesa su un lettino, che viene fatto scorrere all’interno di un apposito macchinario, che funziona come uno scanner, seguendo il percorso del radiofarmaco nel corpo e poi nell’organo in esame. I dati raccolti da questo scanner vengono elaborati al computer e trasformati in un’immagine radiologica istantanea della funzionalità del seno.

I MARKER TUMORALI

Sono analisi del sangue che servono a rilevare i livelli di alcune molecole – chiamate marker (marcatori o indicatori) – prodotte dalle cellule tumorali o, più raramente, dall’organismo in risposta al tumore. Possono stabilire la presenza e il tipo di neoplasia e anche la sua aggressività.

Si usano soprattutto per seguire l’andamento della malattia nella fase post-operatoria e nei controlli. Uno dei marker del carcinoma mammario è il cancro antigene 15-3 (CA 15-3), i cui valori norma sono inferiori a 30 U/ml (unità per millilitro).

I TEST GENETICI

Il 5-7 per cento circa dei tumori al seno è considerato ereditario, è riconducibile cioè alle varianti nel Dna che aumentano il rischio di sviluppo del tumore rispetto alla popolazione generale. Una delle mutazioni più note è quella dei geni BRCA1 e BRCA2. 

Le probabilità di sviluppare un tumore al seno per le donne portatrici di mutazioni BRCA1 e BRCA2 sono attualmente stimate nell’ordine del 60% circa nel corso della vita.
Oggi è possibile sapere se si è portatrici di questi geni attraverso precisi test genetici che sono indicati nelle donne che hanno avuto altri casi di malattia in famiglia. Bisogna ricordare comunque che essere portatrici di queste mutazioni non significa necessariamente ammalarsi. Ecco perché, in genere, a queste donne viene consigliato un protocollo preciso, fatto di controlli regolari.
Oggi c’è però anche un’altra possibilità: la mastectomia preventiva, ossia l’asportazione delle due ghiandole mammarie a scopo preventivo, per evitare che compaia il tumore. È una scelta molto delicata e strettamente personale che dovrà essere frutto di un dialogo approfondito tra il medico e la paziente.

ALTRE INDAGINI

In caso di tumore al seno, si possono eseguire altri esami per accertare l’eventuale presenza di metastasi, come:

– scintigrafia ossea,

– tomografia computerizzata,

– radiografia del torace,

– risonanza magnetica dell’addome.