08/03/2022

Mine vaganti, dal cinema al palcoscenico nel segno di Ozpetek

Emanuela Bruno
A cura di Emanuela Bruno
Pubblicato il 08/03/2022 Aggiornato il 08/03/2022
Mine vaganti

La trama è quella del film pluripremiato del 2010 con Riccardo Scamarcio e Alessandro Preziosi: c’è la famiglia tradizionale del Sud, proprietaria di un pastificio, un figlio che ritorna da Roma deciso a fare coming out sulla sua omosessualità, il fratello che lo precede con un’analoga rivelazione, scompaginando i piani, sconvolgendo il perbenismo imperante e mettendo a soqquadro la vita di tutti. Ma questa versione di Mine vaganti, in programma al Teatro Manzoni di Milano dall’8 al 20 marzo e poi a Firenze (Teatro della Pergola 22 marzo-3 aprile), ha elementi molto innovativi e interessanti, perché nasce dalla guida dello stesso Ferzan Ozpetek, al debutto come regista teatrale.

Molto interessante anche il cast capitanato da Francesco Pannofino e che vede tra i protagonisti Iaia Forte, Erasmo Genzini, Carmine Recano e Simona Marchini.

Ed è proprio il regista, entusiasta per il risultato di questa sua nuova esperienza, a spiegarci come è nata e come si è evoluta la trasposizione della pellicola per il palcoscenico. La sfida di Mine vaganti è il fatto che è la prima trasposizione teatrale di un film recente di grande successo.

Lo stesso spirito del film

«Lo spirito della pellicola resta intatto. Racconto storie di persone, di scelte sessuali, di fatica ad adeguarsi ad un cambiamento sociale ormai irreversibile. Qui la parte del pater familias è emblematica, oltre che drammatica e ironica allo stesso tempo, ma ho trasferito la vicenda dal Salento, dove non potrebbe più reggere, a un paesino tipo Gragnano, dove ancora un coming out susciterebbe scandalo» esordisce Ozpetek.

Ma come si trasportano i sentimenti, i momenti malinconici, le risate di un film sul palcoscenico? «Questa è stata la prima domanda che mi sono posto, e che mi ha portato un po’ di ansia, quando ha cominciato a prendere corpo l’ipotesi di teatralizzare Mine vaganti. Le idee sono germogliate durante le prove, a poco a poco. Il cast è corale e l’impianto del film è invariato, ma ho scelto di coinvolgere molto spesso anche il pubblico: gli attori scendono dal palcoscenico e dialogano con gli spettatori, rivolgendosi a loro proprio come se si trovassero nella piazza del paese. La platea è il cuore pulsante della pièce. E questo è sicuramente motivo di stupore e di sorpresa per chi assiste allo spettacolo» racconta il regista.

Le innovazioni

Ozpetek ha lavorato per sottrazioni, eliminando alcune situazioni, ma lasciando ciò che poteva risultare intrigante, attraente, umoristico: «Ho sacrificato scene e ne ho inventate altre, per dare nuova linfa all’allestimento» rivela ancora.

Ma come fa un regista cinematografico, abituato a trasmettere emozioni anche attraverso i primi piani, a supplire a questa tecnica di forte impatto? «Uso la punteggiatura, il gioco dei silenzi e delle parole, ma anche la musica nei momenti giusti e altri escamotage che il pubblico scoprirà» anticipa Ozpetek. Anche i tempi di scena sono stati oggetto di attento studio: «A teatro non ci si dovrebbe mai annoiare, quindi sono partito da questo assunto per evitare che lo spettacolo fosse lento. Ho optato per un ritmo continuo, che non si ferma, anche durante il cambio delle scenografie. Qui c’è il merito di Luigi Ferrigno (lo sceneggiatore ndr), che si è inventato un gioco di movimenti con i tendaggi. Anche le luci di Pasquale Mari fanno la loro parte, lo stesso vale per i costumi di Alessandro Lai, colorati e sgargianti. Insomma, il risultato è una commedia che mi piacerebbe andare a vedere a teatro» sorride il regista.