02/10/2021

No time to die. L’addio definitivo di Daniel Craig a James Bond

Veronica Colella Pubblicato il 02/10/2021 Aggiornato il 02/10/2021

Arriva nelle sale No time to die, l’ultimo capitolo della saga di James Bond iniziata con Casino Royale (2006)

Notime to die

È stata dura, ma il 25° film di Bond è finalmente arrivato nelle sale. La prima volta che abbiamo sentito parlare di No time to die era il 2017, a breve distanza da quello Spectre (2015) che nonostante il successo commerciale aveva ricevuto recensioni tiepidine.

A convincere Daniel Craig a tornare sui suoi passi è stata proprio la necessità di dare al suo Bond un finale più soddisfacente, ma trovare il regista ideale si è rivelato un percorso più accidentato del previsto.

Sfumato l’interesse di Kenneth Branagh e incassati i no di Christopher Nolan e Denis Villeneuve, già impegnato con Dune, il testimone è passato brevemente a Danny Boyle per poi arrivare a Cary Joji Fukunaga, primo regista americano a prendere in mano le redini di un franchise che più britannico non si può. Tanto che sul red carpet della première alla Royal Albert Hall di Londra gli attori hanno dovuto contendersi i riflettori con la famiglia reale, a partire da una scintillante Duchessa di Cambridge in abito dorato di Jenny Packham.

Sentimentale e al passo con i tempi

Il James Bond dei tempi d’oro era impervio ai sentimenti, un seduttore dal sessismo benevolo e dal fascino altezzoso. Peccato che in un mondo post-Me Too gli stessi atteggiamenti che rendevano Sean Connery irresistibile risultino quantomeno discutibili, se non sottilmente predatori. Da questa consapevolezza è nata l’idea di coinvolgere in extremis la sceneggiatrice Phoebe Waller-Bridge, di cui sia Fukunaga che Craig sono grandi fan. L’autrice di Fleabag e Killing Eve ha messo mano alla bozza scritta da Neal Purvis e Robert Wade infondendo ai personaggi una profondità maggiore, incluso James Bond. Nessuno stravolgimento, giura Waller-Bridge, solo la possibilità di crescere ed evolversi insieme al suo pubblico.

Mai una gioia, Bond

Sul finale di Spectre avevamo lasciato James Bond tra le braccia della dottoressa Madeleine Swann (Léa Seydoux), la prima donna in grado di competere con il ricordo dell’amata Vesper Lynd (Eva Green). Quando però il passato di entrambi irrompe nelle loro vite trasformando una romantica vacanza italiana in un incubo, le loro strade si separano. Cinque anni dopo, Bond si è ormai ritirato a vita privata su un’isola tropicale in cerca di tranquillità. A riportarlo in azione sarà l’agente della CIA Felix Leiter (Jeffrey Wright), a cui serve il suo aiuto per recuperare una pericolosa arma biologica. Uno scienziato della SPECTRE è infatti scomparso con i codici del progetto Heracles, finito nelle mani del terrorista Lyutsifer Safin (Rami Malek).

Nel cast anche Lashana Lynch (Nomi), Ana de Armas (Paloma, giovane agente della CIA), Ralph Fiennes (M), Christoph Waltz (Ernst Stavro Blofeld), Ben Whishaw (Q) e Naomi Harris (Moneypenny).

La prima 007

A ulteriore dimostrazione che i tempi sono cambiati, a ereditare il titolo di Bond nella sezione Doppio Zero – quella con licenza di uccidere – è una donna nera. A partire da No Time to Die il codice 007 appartiene infatti a Nomi, l’agente dell’MI6 interpretata da Lashana Lynch. Se vi sembra una scelta strategica, non sbagliate. Finita l’epoca delle Bond girl, bellissime e intercambiabili, è il turno di una donna che sia in grado di tenere testa al protagonista senza dover rimanere per forza un passo indietro. Capace e decisa, ma anche socialmente inadeguata e un filo presuntuosa, perché no. Per darle forma Lynch ha lavorato a stretto contatto con la Waller-Bridge, cercando il giusto equilibrio tra forza e femminilità senza appiattire il personaggio sui soliti stereotipi… incluso quello della “donna forte” che ripete pigramente tutti i luoghi comuni dei personaggi dei film d’azione, tutti muscoli e niente personalità.