22/01/2020

Pet therapy: perché il contatto con gli animali fa bene

Veronica Colella Pubblicato il 22/01/2020 Aggiornato il 23/01/2020

Cani, gatti ma anche cavalli, coniglietti e perfino pinguini aiutano a superare i momenti "no” e a combattere solitudine e problemi di autostima

pet therapy

Gli amanti degli animali sono pronti a giurare che basti la loro presenza per compiere miracoli, ma dietro alla pet therapy – o meglio agli interventi assistiti con gli animali (IAA) ci sono équipe multidisciplinari e un attento studio delle forme di interazione più adatte per promuovere il benessere dei pazienti nel rispetto dell’animale. Molto di più di una semplice “terapia delle coccole”, da conoscere per vincere ogni scetticismo.

Molto più che una terapia delle coccole: la vicinanza guidata con un animale è davvero importante per ritrovare benessere anche in contesti e situazioni difficili. A tutte le età!

Il segreto è nelle emozioni

Il contatto con gli animali può aiutare a superare tante difficoltà e non è indicato solo non solo per chi segue una terapia o una riabilitazione. Questi interventi possono essere di supporto anche per chi ha bisogno di rafforzare la propria autostima o per chi deve venire a patti con la solitudine, soprattutto in contesti come le case di riposo o le carceri. Queste sessioni di gioco o di esercizi accompagnate dagli animali e da chi si occupa di loro (ovvero il coadiutore) aiutano proprio perché permettono di prendersi una pausa dal bisogno di parlare e di dare spiegazioni, concentrandosi invece sulle emozioni. Gli animali non giudicano, educano al rispetto e insegnano a relazionarsi. Il loro benessere è altrettanto importante per la riuscita degli interventi: per questo nei progetti sono sempre coinvolti anche i veterinari, il cui ruolo è fondamentale tanto quanto quello dello specialista e del coadiutore. Per facilitare il lavoro degli esperti, in Italia il Ministero della Salute ha stilato delle linee guida ed istituito un Centro di Referenza Nazionale, senza lasciare nulla all’improvvisazione.

Quali animali sono adatti alla pet therapy?

Cani e gatti non sono gli unici candidati: a seconda delle esigenze i pazienti possono essere invitati a interagire con conigli, asini o cavalli. La riabilitazione equestre risale ai tempi dei romani e la scienza ha dimostrato che le intuizioni dei nostri antenati erano giuste: cavalcare può costituire una vera e propria fisioterapia e i risultati si vedono. Anche la personalità dell’animale ha il suo peso nella scelta. La bravura del coadiutore sta nel selezionare animali socievoli e affidabili, facendo attenzione anche ai più piccoli segnali di stress che indicano che l’animale è stanco o spaventato. In altri paesi la specie dell’animale non costituisce un limite: negli Stati Uniti sono stati impiegati animali insoliti come delfini, tartarughe e pappagallini, mentre in Inghilterra i pazienti di una casa di riposo hanno ricevuto persino la visita di una coppia di pinguini, Charlie e Pringle, che si sono goduti una pausa dalla vita monotona dello zoo.

Tutto merito di Jingles

Il primo animale ad essersi conquistato il titolo di co-terapeuta è Jingles, un cocker affettuoso e socievole di proprietà del dottor Boris Levinson, psicoterapeuta infantile che negli anni ’50 e ’60 si occupava di bambini autistici a Brooklyn. L’incontro casuale tra il cagnolino e un nuovo paziente, arrivato con un’ora di anticipo grazie ad una madre apprensiva, ha permesso a Levinson di scoprire le grandi potenzialità degli animali per sostituire forme più tradizionali di gioco-terapia, che non sempre riescono a coinvolgere i bambini con difficoltà nell’interazione. Questi pazienti, spiega Levinson nel suo libro sulla pet therapy del 1969, tendono a ritirarsi in sé stessi quando i tentativi di comunicare si fanno troppo faticosi e frustranti. La spontaneità di Jingles invece è stata preziosa per rompere il ghiaccio, invogliando il bambino a partecipare alle sedute e a fidarsi del terapeuta.