Ansia da connessione perenne
L’abuso di tecnologia e di social network ha generato paure, isolamento, calo di autostima e tante altre dinamiche disfunzionali, indicate con neologismi del linguaggio medico-psicologico. Eccone alcune
Il mondo di internet, che ha trasformato radicalmente le nostre vite, ha portato con sé anche un rovescio della medaglia: l’abuso della tecnologia, che ha creato dinamiche disfunzionali provocando ansia, senso di isolamento e di inadeguatezza. Gli esperti linguisti della piattaforma Babbel hanno analizzato gli effetti psicologici della digitalizzazione, individuando una lingua nuova che è nata per descrivere questa varietà sempre più complessa di comportamenti e interazioni umane.
Anche la lingua, specchio dei mutamenti sociali e tecnologici, si è adattata a dare un nome a fenomeni emergenti, prima ignoti.
7 emozioni da decifrare
Sempre più spesso capita di sentire definizioni inconsuete e neologismi, perlopiù inglesi, che mescolano il linguaggio della psicologia e quello digitale. Siete sicure di saperli decifrare e di comprendere i fenomeni emotivi a cui si riferiscono? Ecco le 7 espressioni più comuni da conoscere.
- Doomscrolling. Fonde il verbo scroll, scorrere, e il sostantivo doom, sventura, per indicare l’atto compulsivo di scorrere notizie dal contenuto allarmante. È un termine nato in tempi di pandemia, quando il flusso di notizie negative ara continuo, e indica un comportamento che va oltre la semplice curiosità o il desiderio di tenersi informati: il circolo vizioso di ricerca continua di “brutte notizie”, genera ansia, stress e senso di impotenza.
- Like loop. Letteralmente è “il ciclo dei mi piace” e descrive il bisogno “spasmodico” di alcuni utenti di ricevere un “mi piace” dopo aver pubblicato incessantemente sulle piattaforme digitali, alla ricerca di convalida sociale e la gratificazione che ne deriva. È un comportamento legato alla produzione nell’organismo di particolari neurotrasmettitori che provocano piacere e può diventare una dipendenza pericolosa.
- Filter fatigue. La “stanchezza da filtro” è la denominazione con cui si indica il senso di sfinimento dato dalla ricerca costante di curare, filtrare e modificare la propria immagine e presenza sulle piattaforme social, per mostrare sempre il lato migliore di sé in ogni evento, viaggio e relazione. Le conseguenze? Calo dell’autostima e senso di ansia, data dall’impossibilità di raggiungere gli standard di perfezione che ci si propone di mantenere.
- Content overdose. Dal lessico medico arriva “overdose” e qui indica l’assunzione di una quantità di contenuti (content) superiore a quella che l’organismo è in grado di tollerare. È il “bombardamento” metaforico di informazioni, talmente intenso da superare la capacità limitata del cervello di assorbirle e tale da rendere difficile distinguere cosa sia realmente importante.
- Posting ennui. Esprime un concetto della profonda noia e insoddisfazione (“ennui”, dal francese) legata all’atto di pubblicare contenuti online (“posting”). In pratica indica la perdita di interesse nell’interagire con gli altri e nel pubblicare contenuti. Molti utenti, fortunatamente, stanno cominciando a scegliere consapevolmente di non condividere più dettagli della propria vita online, nel tentativo di tutelare la propria salute mentale.
- Relazioni parasociali. Indica il legame, spesso percepito come profondo ed intimo, che alcuni spettatori o fan stabiliscono con celebrità, personaggi pubblici o di fantasia: i social media hanno infatti facilitato la creazione di legami illusori con le celebrità, alimentati da una parvenza di vicinanza alla persona che viene adorata. Il rischio è l’isolamento e il deterioramento delle relazioni reali.
- Alone together. Esprime un paradosso (si traduce “da soli-insieme”) che nasce dall’idea che la connettività perenne offerta dai dispositivi tecnologici sia un’arma a doppio taglio: le persone, pur interagendo costantemente tra loro online, si sentono più sole e isolate che mai, perché le relazioni instaurate nel mondo virtuale non hanno la stessa autenticità di quelle coltivate dal vivo. È una condizione che può portare anche al timore per le interazioni faccia a faccia, che richiedono spontaneità e capacità di gestire l’imprevedibilità (aspetti che il filtro dello schermo elimina).
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