16/10/2017

Lo scompenso cardiaco

Nell’immaginario collettivo lo scompenso cardiaco, detto anche insufficienza cardiaca, è poco comune. In realtà, non è affatto così. In Italia, ogni anno si verificano 170 mila nuovi casi e ogni giorno si registrano 500 ricoveri ospedalieri per questa malattia. Fortunatamente, i trattamenti attualmente disponibili sono molto efficaci.

Di che cosa si tratta

I medici utilizzano l’espressione scompenso cardiaco per indicare l’inadeguatezza del cuore a svolgere le sue normali funzioni.

In condizioni normali quest’organo pompa nel sistema circolatorio circa 5-6 litri di sangue al minuto, e durante l’attività fisica può pomparne fino a 25 litri al minuto.

In caso di malattia, invece, la quantità scende a 3 o meno litri al minuto: più la soglia si abbassa più il cuore è in difficoltà.

Di conseguenza, gli organi del corpo non vengono irrorati a sufficienza e possono andare incontro a sofferenza.

Le cause

La causa più comune di insufficienza cardiaca è rappresentata dall’infarto: la parte del cuore colpita, infatti, si trasforma in tessuto fibrotico, una sorta di cicatrice che diminuisce la funzione contrattile del muscolo cardiaco e, quindi, la sua capacità di pompare sangue. Se la persona ha subito più di un infarto, le probabilità di sviluppare uno scompenso aumentano.

Ecco perché tutti i fattori di rischio cardiovascolare, come colesterolo alto, pressione alta, diabete, obesità, fumo sono considerati pericolosi e predittivi, oltre che per l’infarto, anche per lo scompenso cardiaco.

In altri casi, la malattia deriva da una miocardiopatia, ossia un disturbo dalle cause sconosciute del muscolo cardiaco, che ne provoca un funzionamento anomalo.

Lo scompenso può derivare anche da una miocardite infettiva: un’infiammazione del muscolo cardiaco provocata da agenti virali, come quelli che causano infezioni alle vie aeree superiori.

Sia in presenza di miocardiopatia sia di miocardite, il miocardio non riesce a lavorare correttamente e, nel tempo, può subentrare proprio uno scompenso.

Infine, oggi si sa che alla base dell’insufficienza cardiaca possono esserci anche l’ipertensione (la pressione alta costringe il cuore a un super lavoro, logorandolo), malattie delle cellule muscolari del cuore, disfunzioni delle valvole cardiache e aritmie (anomalie del ritmo cardiaco).

I sintomi

La malattia raramente si manifesta all’improvviso: in genere, si sviluppa lentamente e progressivamente.

Questo significa che i disturbi e le limitazioni delle attività quotidiane subentrano in maniera graduale.

Il cuore, infatti, inizialmente cerca di adattarsi alla nuova situazione, aumentando lo spessore delle pareti (ipertrofia) e il suo volume e velocizzando il suo battito (tachicardia).

Queste modificazioni, che in un certo senso dovrebbero migliorare la capacità di pompare sangue nelle arterie, in realtà tendono a peggiorare ulteriormente la situazione perché a lungo andare, in queste condizioni, il muscolo cardiaco finisce per “sfiancarsi” ancora di più.

Soprattutto nelle forme lievi i sintomi sono poco evidenti. Quando compaiono, comunque, quelli più caratteristici e comuni sono il respiro difficoltoso e l’affanno.

Inizialmente, si manifestano solamente dopo aver compiuto sforzi di una certa intensità.

In un secondo momento, nascono anche in seguito a sforzi lievi e, infine, negli stadi più severi, perfino quando la persona si trova a riposo.

Spesso l’affanno è accompagnato da accumulo di liquidi, che causa gonfiore alle caviglie e senso di stanchezza continuo (i medici parlano di astenia).

Ci sono, poi, altri campanelli d’allarme importanti, che non devono essere trascurati:

aumento o diminuzione di peso ingiustificati (dovuti ad aumento o perdita di fluidi),

palpitazioni e aumento del battito cardiaco, senso di vertigine, confusione o irritabilità (per ridotto apporto di ossigeno al cervello),

pressione bassa (negli stadi avanzati della malattia),

perdita dell’appetito, tensione addominale.

Le cure

Se viene trascurato o non viene curato, lo scompenso può provocare complicazioni importanti, anche a carico di parti “nobili” del corpo, come il cervello o i reni. Per questo va trattato il prima possibile.

I farmaci

Quando lo scompenso non è grave, spesso è sufficiente la cura farmacologica, utile per tenere sotto controllo la situazione. Le molecole più utilizzate sono:

gli Ace-inibitori, farmaci che dilatano le arterie, abbassano la pressione del sangue e migliorano la funzionalità

del miocardio: sono tutte azioni che facilitano la circolazione sanguigna  e l’attività cardiaca, proteggendo il cuore;

i sartani, che funzionano in modo simile agli Ace-inibitori.

In genere si utilizzano se la persona è intollerante o allergica a questi ultimi;

i betabloccanti, che riducono la frequenza cardiaca e migliorano la funzionalità del miocardio;

gli antialdosteronici, che combattono la fibrosi cardiaca;

i diuretici, che combattono l’accumulo di liquidi riducendo anche i sintomi.

Tutti questi farmaci si trovano sotto forma di compresse e possono essere usati da soli o in associazione: dosi e tempi di somministrazione vanno prescritti dallo specialista, in base ai singoli casi. In genere, la cura dura per lunghi periodi.

La risincronizzazione cardiaca

Quando la situazione è più complicata e i farmaci non sono sufficienti per curare lo scompenso, il medico può decidere di ricorrere alla terapia di risincronizzazione cardiaca (Crt).

Questo trattamento si basa sull’impiego di un dispositivo, generalmente associato a un defibrillatore, in grado di erogare una scossa elettrica capace di interrompere aritmie mortali.

A differenza del defibrillatore tradizionale, non si limita a controllare il ritmo cardiaco, ma trasmette stimoli elettrici a entrambi i lati del cuore.

Il risultato è che risincronizza e, allo stesso tempo, migliora l’azione di pompa del muscolo cardiaco.

Il dispositivo viene impiantato vicino al cuore attraverso un intervento in anestesia locale e funziona con una batteria, che dura qualche anno (quando si scarica, va sostituita con un nuovo intervento).

È indispensabile quando la funzione del cuore è molto ridotta, per ridurre la mortalità.

 I supporti circolatori

Se lo scompenso è in fase avanzata, si può ricorrere ai supporti circolatori temporanei o definitivi.

Sono pompe meccaniche che sostituiscono la funzione del cuore, ristabilendo un flusso sanguigno vicino a quello normale. Ne esistono di due tipi: il cuore artificiale totale, che svolge le attività del cuore, e l’assistenza ventricolare (Vad), chiamato anche ventricolo artificiale.

Questi dispositivi possono essere utilizzati in attesa del trapianto, per supportare il cuore finché non si rende disponibile l’organo per un trapianto, o come “recovery”, ossia come applicazione temporanea per consentire il recupero della funzionalità del cuore (principalmente nei casi di miocardite o infarto del miocardio acuto). In alcuni casi, sono usati anche in alternativa al trapianto.

Comunque il gold standard (la soluzione migliore) per il trattamento dello scompenso cardiaco in fase avanzata è rappresentato dal trapianto cardiaco.